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Serve un fronte democratico sull’IA. Parla Ascani (Pd)

L’executive order di Biden è “una novità importante nel panorama internazionale ma anche e soprattutto nell’atteggiamento degli americani”, spiega la vicepresidente della Camera, reduce da una missione a Seattle e San Francisco. La presidenza italiana del G7 nel 2024 può dare “un segnale importante per le democrazie e per metterci in condizione di dialogare con il resto del mondo”, aggiunge

Anna Ascani, deputata del Partito democratico e vicepresidente della Camera, la scorsa settimana è stata in missione negli Stati Uniti. Presiede il comitato di vigilanza sull’attività di documentazione a Montecitorio, che sta lavorando sull’Intelligenza Artificiale: gli incontri oltreoceano, a Seattle e a San Francisco, seguono un ciclo di audizioni svoltosi tra aprile e luglio. La delegazione ha incontrato alcuni dei principali attori nel settore (Microsoft, AWS, Salesforce, OpenAI, Google e Meta), ha incontrato i rappresentanti di Innovit, l’hub dell’innovazione italiana in Silicon Valley, e i ricercatori dell’Institute for Human-Centered AI dell’Università di Stanford.

Come nasce la missione?

La nostra missione negli Stati Uniti ha avuto un duplice scopo: approfondire, come stanno facendo i parlamenti di molti Paesi occidentali, le opportunità e i rischi dell’Intelligenza Artificiale; valutare soluzioni che possano migliorare l’efficacia del processo legislativo e la trasparenza verso i cittadini.

Lunedì il presidente americano Joe Biden ha firmato un executive order sull’Intelligenza Artificiale. Che ne pensa?

Si tratta di una novità importante nel panorama internazionale ma anche e soprattutto nell’atteggiamento degli americani. La consapevolezza di quanto questa tecnologia sia trasformativa è più forte lì che da noi. Sia i grandi operatori del mercato sia le istituzioni si rendono conto che questa non sia a una tecnologia che si aggiunge a ciò che abbiamo già e porta piccoli miglioramenti o peggioramenti. L’Intelligenza Artificiale cambia tutto, cambia il modo di essere società. Per questo bisogna riscrivere le regole per integrarla correttamente.

È consapevolezza o paura, al limite della fobia?

Sicuramente non è fobia. C’è una consapevolezza diffusa, anche tra gli sviluppatori. Ma c’è anche paura per la rapidità dell’innovazione. Basti pensare alle reazioni a cui abbiamo assistito un anno fa quando è uscita ChatGpt. Da parte della politica c’è la voglia di non farsi dominare ma di interagire con l’innovazione affinché questa sia veramente utile al nostro sistema di convivenza. Ovviamente, è nelle democrazie che c’è maggiore preoccupazione per questi strumenti visti gli effetti importanti che possono generare sulle elezioni a costi molto bassi.

Ci sono punti di contatto tra gli approcci di Stati Uniti ed Europa sull’Intelligenza Artificiale?

Per me è stupefacente in positivo il modo in cui gli Stati Uniti stanno affrontando il problema Intelligenza Artificiale. Sulle piattaforme online, cioè su Digital Services Act e Digital Markets Act, avevamo idee molto diverse. Sull’Intelligenza Artificiale, invece, credo ci sia la possibilità di trovare molti punti di convergenza. È fondamentale lavorare assieme per tutelare le democrazie dai rischi di influenze esterne stabilendo standard condivisi.

Manca poco alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo e a quelle presidenziali statunitensi. C’è tempo per limitare i rischi?

Alcune cose si possono fare subito. Stiamo lavorando sulla questione “watermark”, una sorta di bollino. Le grandi compagnie americane si sono organizzate e ne parlano apertamente. Se c’è la volontà, la standardizzazione è cosa abbastanza semplice. A differenza di alcuni temi più complessi come quelli che riguardano la filiera dei dati, per esempio, in cui è fondamentale una mediazione tra tutela del diritto d’autore e innovazione.

Oggi inizia il Summit sulla sicurezza dell’Intelligenza Artificiale convocato dal primo ministro britannico Rishi Sunak. È prevista anche la partecipazione di una delegazione cinese. È la scelta giusta?

La presenza cinese è necessaria. Posto che gli usi di questa tecnologia che vengono fatti in Cina, come il social credit system, sono lontanissimi dai valori occidentali, le tecnologie cinesi sono nella nostra vita. È fondamentale il coinvolgimento cinese nella discussione sulle regole. Il dialogo con la Cina è complesso ma il nostro obiettivo deve essere quello di creare un contesto globale con regole che valgono per tutti e riguardano tutti, proprio come fatto con l’Organizzazione mondiale del commercio oltre due decenni fa.

E se così non fosse?

Il rischio è quello di muoverci in una giungla all’interno della quale è difficile sopravvivere. Non esistono confini e barriere nell’Intelligenza Artificiale.

Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, si è impegnata a fare dell’Intelligenza Artificiale un elemento centrale dell’agenda della presidenza italiana del G7 nel 2024. Che cosa possono fare i Sette?

È giusto che al centro dei temi ci sia l’Intelligenza Artificiale visto che, come detto, le regole in questo settore devono superare confini nazionali e sovranazionali. È quindi importantissimo che a livello di G7 si stabiliscano i principi relativi ai rischi di questa tecnologia e ci sia dia un quadro di riferimento nonostante le diverse sensibilità tra i Paesi. Uscire dal G7 italiano con una carta sull’Intelligenza Artificiale sarebbe un segnale importante per le democrazie e per metterci in condizione di dialogare con il resto del mondo.



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