Non è detto che il salario minimo sia la soluzione. Laddove insiste la contrattazione salariale con sigle sindacali non di facciata, le parti sociali sono dotate infatti di informazioni specifiche su situazioni e dinamiche del settore ed in grado di trovare la migliore risposta non solo per i lavoratori ma anche per l’azienda posto che i sindacati abbiamo sufficiente potere contrattuale. Ma… Il commento di Leonardo Becchetti
Il problema numero uno nelle economie dei Paesi occidentali ad alto reddito è e resta quello delle diseguaglianze. Questo problema si è aggravato con l’ultima ondata inflattiva che ha colpito il nostro Paese dopo l’esplosione dei prezzi del gas. L’onda lunga del combinato disposto della globalizzazione e dell’imponente progresso tecnologico hanno aumentato i rendimenti della scolarizzazione facendo crescere all’interno di ciascun Paese le diseguaglianze tra i lavoratori ad alta e a bassa qualifica.
C’è chi dice che le diseguaglianze non sarebbero un problema se anche gli ultimi migliorano la loro posizione quando le distanze tra i primi e gli ultimi aumentano. In realtà non è andata così negli ultimi anni. L’inflazione ha colpito di più i ceti più poveri perché per essi pesano più beni alimentari ed energia (dove gli aumenti dei prezzi sono stati maggiori) nel carrello della spesa. E così l’Istat ci ha detto da poco che nel 2022 più di 300 mila persone sono finite sotto la soglia di povertà. Lavori di ricerca recenti dimostrano come alcuni danni collaterali della diseguaglianza sono quelli di disgregare il tessuto sociale di un paese riducendo la fiducia nelle istituzioni ed alimentando populismo e complottismo.
Esiste ormai in Italia ed in Europa un vasto ceto di arrabbiati che non votano, che temono per la sicurezza e l’arrivo dei migranti e che chiedono politiche di maggiore redistribuzione del reddito. Le forze politiche hanno capito bene che devono competere per conquistare questi cittadini sui temi sociali e così oggi si fronteggiano su questo tema con diverse proposte (riduzione del cuneo fiscale, dell’imposta sui redditi per i ceti medio-bassi e salario minimo).
L’idea del salario minimo interviene su un mercato del lavoro italiano dove in effetti emerge il paradosso dei lavoratori poveri. Un tempo posto di lavoro e povertà erano termini inconciliabili oggi non è più così. Non è detto però che il salario minimo sia la soluzione. Laddove insiste la contrattazione salariale con sigle sindacali non di facciata, le parti sociali sono dotate di informazioni specifiche su situazioni e dinamiche del settore ed in grado di trovare la migliore soluzione non solo per i lavoratori ma anche per l’azienda posto che i sindacati abbiamo sufficiente potere contrattuale.
Esiste però una quota non trascurabile di lavoratori non coperti da buona contrattazione per i quali il salario minimo può essere una buona ancora di salvataggio. Il problema solito del mercato del lavoro però è che i rapporti di forza delle condizioni economiche tendono a prevalere sulle convenzioni giuridiche. In molti casi il lavoro povero non dipende da un salario minimo troppo basso. Un primo esempio è la quota elevata nel nostro Paese di part time involontario (lavoratori impiegati per meno ore all’anno di quello che vorrebbero, fenomeno tipico nella logistica o nel settore dell’agricoltura al momento della raccolta).
In questo caso la multi-datorialità (contratti non con una sola azienda ma con più aziende del settore in modo da poter cumulare un tempo complessivo di lavoro adeguato nell’anno) può essere una risposta appropriata. Il secondo esempio è quello di violazione di contratti che prevedono salari minimi dignitosi ma considerati troppo elevati. Ed è il caso del settore delle badanti dove l’aumento del salario minimo è coinciso con una riduzione aggregata delle ore dichiarate.
Evidente che le parti si sono “difese” da un salario minimo troppo alto dichiarando meno ore di quelle effettive. Sono questi i motivi per i quali non esistono soluzioni facili per i problemi del mercato del lavoro. E per i quali la diseguaglianza deve essere contrastata con strategie più sistematiche che vanno dagli interventi ex ante (investimenti in sanità ed istruzione pubblica che riducono le diseguaglianze di accesso) agli interventi ex post di carattere redistributivo.