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O si tifa per il potere o si ama la libertà. Contro i luoghi comuni sul liberalismo

Il saggio dell’economista americana McCloskey, pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni, sfata i luoghi comuni che accusano la società aperta e indica la strada di un liberalismo benevolo. Le recensione di Giuseppe De Tomaso

O sei per la Libertà o sei per il Potere. Quasi impossibile trovare un compromesso, come dimostra l’attuale scenario mondiale e come testimonia la stessa crisi culturale di Europa e America. Servirebbe uno scatto, uno choc in grado di scuotere l’Occidente dal torpore in cui sembra essere precipitato. Altrimenti la cultura della resa alle prevaricazioni illiberali sarà la prospettiva prossima ventura.

Ha dell’incredibile il sentimento di rassegnazione e di autodenigrazione che sembra prevalere nei sistemi democratici ed economici che hanno consentito in pochissimi secoli di far lievitare del 3000 per cento il reddito pro capite dei più poveri. Nulla da fare. Anche se il povero di oggi spesso vive meglio del ricco di ieri, i detrattori della società aperta si contano a miliardi e dispongono di un potere sempre più pervasivo. Basti pensare agli attacchi quotidiani cui sono sottoposte molte democrazie del pianeta e alle intrusioni strutturali della macchina statale nelle attività private di imprese, famiglie e cittadini. Democrazia e mercato non stanno trascorrendo stagioni particolarmente felici.

Eppure, come sottolinea il titolo (“Il liberalismo funziona”) del volume dell’economista americana Deirdre N. McCloskey, docente a Chicago, libro edito dall’Istituto Bruno Leoni (467 pagine, 24 euro), il liberalismo ha dimostrato e dimostra tuttora di poter ben funzionare visto che ha reso il mondo più prospero e più equo per tutti. Sì, perché anche i dati sulla disuguaglianza non corrispondono alle cifre diffuse dalla vulgata più ostile alla democrazia economica.

Purtroppo l’assuefazione all’invadenza del potere in tutte le vicende dell’esistenza umana è dura a morire. Anche dopo secoli di lezioni liberali. Se l’economista-filosofo Adam Smith (1723-1790) era scandalizzato dall’obbligo di chiedere una licenza o un passaporto, sono tuttora numerosi coloro che non trovano nulla di strano nelle pretese del Potere di regolare ogni minimo atto delle azioni umane. Il che non solo riduce e comprime la libertà personale, ma assesta un colpo micidiale anche alla stessa idea di uguaglianza, perché retrocede vastissimi strati sociali alla condizione di sudditanza.

La McCloskey non fa sconti a coloro che antepongono lo Stato, che poi sarebbe il Potere (politici, burocrati…), a tutti e a tutto. Non fa sconti né ai conservatori di destra né agli statalisti di sinistra, i cui programmi finali convergono e spesso coincidono al di là di ogni immaginazione. Il loro nemico è l’ordine spontaneo, la loro comune sfiducia verso le forze autonome di adattamento è più profonda di un oceano. Né i dirigisti di ogni colore si prestano mai a prendere in considerazione l’impossibilità di prevedere il futuro, dal momento che, per loro, il verbo pianificare è una gradevole colonna sonora sempre in onda. Né accetterebbero mai di riconoscere che la “saggezza delle folle” sa procedere meglio e che nessun pianificatore centrale è così onnisciente da possedere le informazioni che circolano tra miliardi di persone. Informazioni che, economicamente ragionando, si traducono in prezzi. Ma anche i prezzi, ovviamente, patiscono le incursioni e le coercizioni del Potere, ignaro, così facendo, di innescare l’automatico riflesso dell’eterogenesi dei fini: a rimetterci sono proprio i presunti beneficiari di calmieri e controlli vari. Per non dire dell’attrazione fatale, frequente tra i pianificatori, di moltiplicare i posti di lavoro inutili. Tanto…

Il liberalismo è libertà dalla coercizione, ricorda la studiosa McCloskey, e dal 1776 il liberalismo ha reso i popoli sempre più liberi. Persino quelle nazioni che proprio liberali non sono, vedi la Cina e, per certi versi anche l’India, devono le loro recenti performance economiche alle piccole oasi di libertà, ora concesse ora spuntate, all’interno di un sistema economico più sorvegliato di una caserma.

Ok, ma i poveri, si obietterà, stanno sempre peggio. L’autrice confuta il luogo comune prima osservando che una donna povera odierna è persino più ricca del leggendario John D. Rockfeller (1839-1937), dal momento che lei ha a disposizione antibiotici e aria condizionata, tv e internet, roba che l’allora uomo più facoltoso del pianeta non poteva neppure sognare. Le parole dell’austriaco Joseph. A. Schumpeter (1883-1950) rendono l’idea delle virtù dell’innovismo liberale meglio di cento convegni: “La regina Elisabetta possedeva calze di seta. Il successo del capitalismo non sta nel fornire un numero maggiore di calze di seta alle regine, ma nel metterle alla portata di giovani operaie industriali in cambio di uno sforzo di lavoro continuamente decrescente”.

Tutto merito della libertà, la cui realizzazione, ottimo il flash del poeta americano Robert Hayden, consiste nel passare dal Nonsipuò al Sichesipuò. Se un politico puro è ossessionato dal Potere, un economista lungimirante è ossessionato dalla produttività, dal dovere di creare le premesse del “rendere conto”, dalla rottura dei lacci statalistici, dal compito di smascherare la prosopopea del Potere di ritenersi competente in tutto. Solo i mercati non regolamentati favoriscono la conoscenza. Conoscenza che trasferisce i propri benefìci proprio ai più deboli, nel segno di un liberalismo benevolo, la cui essenza, secondo la McCloskey, risiede in uno Stato poco obeso e con la mano tesa ai poveri.

Del resto, cosa ha fatto Adam Smith se non spostare la scienza economica dalla gloria dei re alla prosperità dei popoli? Cosa ha fatto il pensatore scozzese se non dimostrare come la povertà sia diretta conseguenza della tirannia? Certo il desiderio di sicurezza, che alberga nell’umanità, prevale sul desiderio di libertà, che prescrive un’anima votata al senso di responsabilità. La qual cosa – ossia la voglia di sicurezza – agevola i piani di dittatori, autocrati e demagoghi. Ma soltanto la libertà è sinonimo, nonché garanzia, di crescita generale: sociale, individuale, economica, culturale, scientifica. Solo con la libertà le idee, le vere esclusive risorse dell’umanità, possono innovare e rinnovare il mondo.

Il saggio di McCloskey pubblicato dall’Istituto diretto da Alberto Mingardi è una miniera sterminata di spunti e di riflessioni sulla convenienza ad essere liberi. Ci fermiamo qui, raccomandandone la lettura soprattutto agli scettici, o a quanti si fanno sedurre dalle sirene del perfettismo pubblico. Il pericolo di precipitare nel regno della sottomissione è sempre in agguato. Specie in questa fase della Storia, caratterizzata dagli assalti alle democrazie e alla liberalizzazione degli scambi. È sufficiente distrarsi ancora, sottovalutare e archiviare definitivamente le ragioni e i successi del liberalismo per tornare al Medio Evo e alla decrescita.

Ecco perché, ripetiamo, o si è per il Potere o si è per la Libertà. Tertium non datur.


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