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OpenAI, i possibili perché dietro al licenziamento di Altman

Il cda fronteggia la rivolta di dipendenti e investitori dopo la decisione di licenziare il ceo, volto di ChatGPT e profeta dell’intelligenza artificiale. Serpeggiano voci sulla sua condotta, sul rapporto tra l’azienda e la sua “scatola” non-profit, sull’equilibrio tra velocità e sicurezza nello sviluppo dell’IA. Cosa è successo finora e i possibili perché

Tempi di maretta in casa OpenAI. L’azienda che ha dato alla luce ChatGPT è diventata il palco per una delle saghe più spettacolari nella storia di Silicon Valley. L’ultimo colpo di scena: alcuni investitori sarebbero pronti a denunciare il consiglio di amministrazione, responsabile per l’improvviso allontanamento del co-fondatore e ceo Sam Altman. Nel mentre oltre 700 dipendenti (su 770 complessivamente) rimangono in aperta rivolta contro il cda e minacciano di abbandonare la nave se quest’ultimo non tornasse al comando.

Tutto è iniziato venerdì, quando il cda ha fatto ciò che nessuno si sarebbe aspettato: cacciare colui che negli ultimi mesi è diventato il volto dell’industria dell’intelligenza artificiale. La spiegazione ufficiale è stata che Altman “non [fosse] stato sempre sincero nelle sue comunicazioni con il consiglio, ostacolando la capacità di quest’ultimo di esercitare le proprie responsabilità”. Sabato, in una riunione con i dipendenti, il capo scienziato di OpenAI e membro del cda Ilya Sutskever ha accennato al fatto che l’allontanamento di Altman fosse stato necessario “per assicurarsi che OpenAI costruisca un’IA a beneficio di tutta l’umanità”.

Il commento di Sutskever ha scatenato un tornado di speculazioni, che gli osservatori hanno presto collegato alla struttura operativa dell’azienda – composta da una non-profit (la cui missione è appunto sviluppare un’IA a beneficio del genere umano e non degli investitori) che contiene una for-profit (un’azienda normale, dedita al profitto e all’attrazione di capitali, in cui Microsoft ha investito pesantemente). Che Altman stesse corrompendo lo spirito originale di questa realtà, sviluppando e rilasciando prodotti troppo velocemente per ragioni di mercato, a scapito della cautela che gli addetti ai lavori avevano raccomandato chiedendo di rallentare?

Poche ore dopo il direttore operativo di OpenAI Brad Lightcap ha gettato acqua sulle speculazioni e ripetuto che si trattava di un “guasto” nella comunicazione. “Possiamo affermare con certezza che la decisione del cda non è stata presa in risposta a un illecito o a qualcosa di correlato alle nostre pratiche finanziarie, commerciali, di sicurezza o [privacy]”, ha detto ai dipendenti. E domenica gli ha fatto eco Emmett Shear, ex ceo di Twitch, che nel frattempo è stato nominato dal cda di OpenAI come nuovo amministratore delegato pro tempore.

Nessuno dei due ha fornito altri dettagli, e l’effetto cumulativo di queste dichiarazioni è stato quello di scagionare Altman, riflette Casey Newton, giornalista tech tra i più attenti osservatori di Silicon Valley. Nel frattempo il diretto interessato ha pubblicato una serie di post in cui professava il suo amore per OpenAI e le persone al suo interno. “Con il suo silenzio, il cda ha fatto in modo che Altman diventasse il protagonista e l’eroe di questa storia. Le posizioni strategiche di Altman, abilmente coordinate con i suoi numerosi alleati all’interno dell’azienda, gli hanno dato l’aspetto di un funzionario eletto deposto che sta per essere riportato al potere grazie alla forza della sua popolarità”.

Questo non cancella il sospetto che Altman stesse favorendo la velocità a scapito della sicurezza. C’era lui dietro la decisione di lanciare ChatGPT, che secondo The Atlantic fu presa anche per paura che la rivale Anthropic lanciasse il proprio chatbot. Da allora, scrive Newton, “il ramo for-profit di OpenAI si sarebbe mosso più volte per estendere il vantaggio dei suoi prodotti sui rivali”. Poco fa l’azienda ha fatto un altro salto in avanti annunciando chatbot personalizzati, cosiddetti “agenti IA”, scatenando le preoccupazioni dei ricercatori sulla sicurezza. E a quanto pare la cosa aveva fatto andare Sutskever su tutte le furie.

La situazione è tutt’altro che stabile per un’azienda che poco fa era stata valutata a 86 miliardi di dollari. Gli investitori stanno esplorando le vie legali per denunciare il cda, ma essendo che la missione della non-profit “scatola” è de-prioritizzare il profitto a vantaggio del bene dell’umanità, non è detto che abbiano molte chances. Nel frattempo Altman è stato assunto da Microsoft per dirigere una nuova divisione di ricerca sull’IA avanzata. E lo stesso Sutskever è tornato sui suoi passi, pentendosi pubblicamente di aver contribuito al suo allontanamento.

Persino lui si è messo dalla parte del 90% dei dipendenti di OpenAI che hanno firmato la lettera in cui minacciano di dimettersi se il cda si rifiuterà di ripensare la decisione. Al momento, così non sembra; ma tutto può cambiare da un momento all’altro: per l’azienda, la prospettiva di perdere la stragrande maggioranza dei propri dipendenti (scatenando una gara a Silicon Valley per accaparrarsi il loro talento) e veder sgonfiare la propria valutazione stellare non può che essere preoccupante. Lo stesso ceo di Microsoft Satya Nadella ha lasciato la porta aperta a un possibile ritorno di Altman in OpenAI: occhi aperti.

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