Nel 2017, da presidente dell’Assemblea parlamentare Nato, finì nel mirino del duo che ha colpito Meloni a settembre. “Ci sono aspetti che rimangono, come un forte condizionamento psicologico. Si tratta di operazioni molto più potenti dei cyber-attacchi, poiché impattano direttamente sull’opinione pubblica”
Paolo Alli era presidente dell’Assemblea parlamentare della Nato quando, nel 2017, finì nel mirino di Vovan e Lexus, i due comici russi che a settembre avevano preso di mira Giorgia Meloni, presidente del Consiglio. Come nel caso di Meloni, il mezzo fu una mail per una richiesta di colloquio telefonico. In quell’occasione, il presunto interlocutore era Andrej Parubij, allora presidente del Parlamento ucraino.
Che cosa ricorda di quel fatto?
Ciò che mi inquietò di più è il fatto che sapessero tutto di me, del mio profilo psicologico e dei miei rapporti, ma anche della nostra organizzazione. Non si tratta di semplici scherzi telefonici: sono strumenti di guerra ibrida a scopo intimidatorio.
Queste operazioni hanno evidentemente un alto livello di sofisticazione, come dimostrano i tempi e i temi scelti con i vari interlocutori che hanno cercato di far cadere nella trappola. I due respingono le accuse di lavorare per l’intelligence russa, ma non negano di avere un’agenda molto vicina a quella di Mosca. È possibile che agiscano da soli?
Non posso dirlo con certezza. Nel mio caso, mi sono a lungo interrogato su ciò che sapevano di me. Credo che, anche con i più sofisticati strumenti di analisi e ricerca sul web, non avrebbero potuto conoscere certe informazioni dalle sole fonti aperte. Mi pare evidente che agiscano su mandato di qualcuno che si fa schermo col fatto che i due siano privati cittadini. Ma come vivono? Come tengono in piedi una struttura ad alta tecnologia e alti costi?
Godono di una connivenza istituzionale?
Se si guarda alla lunga lista dei personaggi a cui sono arrivati e che hanno affrontato, emerge chiaramente un disegno preciso. È stato così con Elton John, che parlava dei diritti dei gay in Russia a pochi mesi dalle elezioni, e con Boris Johnson appena insediatosi come ministro degli Esteri del Regno Unito.
E nel suo caso?
Il mio caso capitava in un momento delicato degli equilibri. Avevano scelto un interlocutore che conoscevo benissimo. Speravano che dicessi che la Nato lavorava per far perdere le elezioni a Vladimir Putin, per poi accusare l’Alleanza di ingerenze e interferenze. Da quella telefonata hanno preso la mia voce per tentare di ingannare Parubij al fine di delegittimare lui e le istituzioni ucraine.
Quali sono gli effetti di queste operazioni?
Ci sono aspetti che rimangono, come un forte condizionamento psicologico. Ho vissuto per diversi mesi con il terrore di uscire di casa, nonostante avessi la scorta. Ancora oggi sono molto prudente in alcuni aspetti della mia vita. Si tratta di operazioni che psicologicamente sono molto più potenti dei cyber-attacchi, poiché impattano direttamente sull’opinione pubblica.
Perché pensa abbiano voluto colpire Meloni?
L’Italia è un Paese in cui la componente filorussa è molto presente nell’opinione pubblica e nei mondi organizzati. Per Mosca, è l’anello più debole della catena europea. Inoltre, il fatto che Meloni si sia apertamente schierata in difesa dell’Ucraina dà fastidio. È una concatenazione di fattori. Per questo, qualsiasi elemento che possa sollevare certe attenzioni è importante.