Il Vecchio continente si gioca tutto nelle elezioni di giugno 2024. Per rilanciare il disegno federale, non bisogna più ragionare con la logica e il programma del cortile di casa. Il commento di Giuseppe De Tomaso
Se non ora, quando? Se non ora, quando la spinta finale per gli Stati Uniti d’Europa? Sappiamo tutti che il traguardo è più lontano di Marte e che gli egoismi nazionali sono più resistenti del marmo. Ma se l’Unione Europea, come ha ricordato l’ex premier Mario Draghi l’altro giorno, non riscopre i suoi valori originari e non rilancia il disegno unitario, non solo rischierà di perdere la propria indipendenza politico-economica, ma metterà in pericolo la stessa impalcatura democratica, a casa sua e nel resto del pianeta.
Parliamoci chiaro. La democrazia non è ancora tramontata nel mondo perché ci sono gli Usa e i Paesi europei. Se America ed Europa dovessero smettere di custodirla, aprendo il cuore a tutti i nemici della società aperta, la democrazia non avrebbe più i secoli contati, semmai pochi anni di vita ben delimitati. Forse si chiamerà, formalisticamente parlando, ancora così, democrazia, ma nella migliore delle ipotesi essa somiglierà a una democratura o a un’autocrazia elettiva. Già se ne intravvedono le avvisaglie in America e in Europa: le manifestazioni di piazza contro la democratica Israele e a favore della teocratica Hamas non sono un’iniezione di fiducia, tanto meno di ottimismo. L’odio di vasti settori socio-culturali dell’Occidente contro le conquiste realizzate dall’illuminismo liberale negli ultimi secoli, forse adesso è percepibile persino da un bambino di prima elementare. Il rischio di un dietrofront plateale nel cammino verso una più vasta area e una più profonda condizione di libertà è, purtroppo, più probabile di un nuovo impazzimento della meteorologia.
Insomma. Servirebbe un colpo d’ala pro democrazia in America e in Europa. Gli Usa non sono più gli Usa di una volta, quelli reduci dalla vittoria nella Seconda guerra mondiale e come tali, grazie anche a un primato economico, finanziario e militare a prova di bomba, ora indiscutibili padroni ora rispettati guardiani del mondo. Oggi gli States devono vedersela non soltanto con la super-crescita economica cinese, ma anche con la militarizzazione continua di nazioni minori, oltre che con i piani di allargamento imperiale riaggiornati dalla Russia putiniana. L’America non può badare a tutto e a tutti, nel globo, anche perché le sue lacerazioni interne le destano più preoccupazioni di qualsiasi altra emergenza geopolitica esterna. E così le più ristrette ambizioni e protezioni da parte di zio Sam si ripercuotono innanzitutto sull’Europa, chiamata controvoglia a diventare finalmente maggiorenne, adulta a tutti gli effetti.
Diventare maggiorenne e davvero adulta, per l’Europa significa soltanto una cosa: accelerare il percorso verso l’unione politica, verso l’integrazione militare, verso l’uniformità fiscale e giuridica. Significa attribuire all’euro-parlamento poteri effettivi, a cominciare dalle materie di politica estera, di bilancio e di difesa. Ma per raggiungere questi obiettivi, è fondamentale cominciare a discuterne.
L’occasione ci sarebbe. Fra pochi mesi, nel giugno 2024, i cittadini europei saranno richiamati alle urne per rinnovare i gruppi parlamentari di Strasburgo e Bruxelles. Quale migliore opportunità per riprendere il filo del discorso sull’Europa federale, reso più urgente (di un farmaco salvavita) dai conflitti armati in Ucraina e in Medio Oriente? Invece non se ne fa nulla. Anzi sovranisti e nazionalisti suonano la grancassa con la sicumera di chi è già sicuro che l’Europa unita salterà e che, tutt’al più, l’Ue verrà retrocessa allo standard di un modesto mercato condiviso. Gli stessi europeisti si vedono costretti a giocare solo di rimessa, sperando in qualche occasionale contropiede. Ma non si fanno molte illusioni.
Perché l’Europa possa davvero dare la sensazione di stare svoltando verso una federazione sulla falsariga di quella che, al di là dell’Atlantico, fa capo alla Casa Bianca, è indispensabile che si formino, preventivamente, partiti davvero europei, partiti in discontinuità con l’ossessione nazionale, partiti disposti a fare proselitismo nel segno di programmi davvero continentali, partiti pronti a guardare al di là del proprio cortile di casa. In una parola: c’è bisogno di partiti rivoluzionati da cima a fondo, c’è necessità, in Italia e oltre confine, di partiti che ragionino quasi all’opposto rispetto al modus cogitandi in voga negli ultimi decenni.
Purtroppo, anche l’appuntamento delle europee 2024 si preannuncia all’insegna di un’inevitabile verifica ad uso domestico. Nella migliore delle ipotesi l’euro-voto sarà derubricato a primo vero test sul governo di Giorgia Meloni, sulla sua politica economica, sul suo disegno di premierato, sui suoi interventi per contrastare l’immigrazione illegale. Nella peggiore delle ipotesi, il voto di giugno sarà utilizzato per fare il punto sui rapporti di forza all’interno e all’esterno della coalizione di governo. Tutt’altra cosa rispetto al dovere morale, d’obbligo in una consultazione sovranazionale, di rompere con la logica provincialistica che caratterizza e frena da tempo il Belpaese, per abbracciare una concezione universalistica, nel nostro caso transnazionale, capace di affrontare ogni tema mettendo al primo posto la salvaguardia dell’interesse generale europeo.
Può sembrare un artifizio retorico ed esagerato. Ma mai come nel 2024 l’Europa rischia di frantumarsi come un cristallo. È sufficiente che euro-contrari ed euro-scettici facciano più di un progresso nella conta delle schede elettorali che il sogno unitario già di Carlo Magno (742-814) possa svanire all’alba come la più beffarda e tragica tra le illusioni. Con un’ulteriore grave e grande conseguenza, stavolta: il suicidio dell’Europa-Europa potrebbe fare da enzima al suicidio della democrazia-democrazia, di quel sistema cioè che ha saputo coniugare il metodo liberale nel contenimento del potere (per sua natura straripante) e la metodologia democratica nell’allargamento della partecipazione popolare. Ecco perché mai come adesso servirebbero, non solo nella Penisola, partiti davvero europei, non gruppi nazionali concentrati a farsi la guerra (per fortuna solo verbale) e a fare la conta all’interno e all’esterno del proprio condominio.