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Quale futuro per la rivalità Cina-Usa? Il dibattito con Claudio Pagliara

Il dibattito al Csa sull’ultimo libro di Claudio Pagliara, incentrato sul confronto tra Washington e Pechino, tocca numerosi aspetti, da Taiwan alla sfida tecnologica, arrivando fino alla postura globale

Uno scontro, quello tra Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese, che si estrinseca attraverso una serie di dimensioni tanto diverse quanto profondamente interconnesse, da quella economica a quella strategica, da quella tecnologica a quella politica. Con la somma delle parti che fornisce il contesto ideale per la “tempesta perfetta”. Non a caso, Claudio Pagliara, corrispondente Rai negli Stati Uniti, ha scelto proprio l’espressione “La tempesta perfetta” come titolo del suo nuovo libro presentato il 20 novembre al Centro studi americani. Una presentazione che è stata anche un’occasione per sviluppare un dibattito tra esponenti del mondo dell’accademia, della diplomazia e del policy-making sul grande confronto tra Washington e Pechino che domina le relazioni internazionali all’alba del nuovo millennio. Dibattito che, poi, si è inevitabilmente allargato ad altre tematiche prioritarie dello scenario globale contemporaneo.

Partendo proprio dalla dimensione della tecnologia, terreno di accesissima competizione tra la Repubblica Popolare e l’intero blocco occidentale guidato dagli Stati Uniti. “L’Occidente dispone ancora della superiorità tecnologica”, dice Gabriele Natalizia, professore di Scienza Politica all’Università La Sapienza, “e il mantenimento di questo primato è una priorità fondamentale indicata in tutti i documenti strategici e dottrinari del mondo occidentale”. Anche perché la superiorità tecnologica implica quasi automaticamente una superiorità militare. E la competizione militare tra Usa e Cina continua ad essere sempre più centrale nella dialettica tra le due potenze.

Il punto focale rimane ovviamente l’isola di Taiwan, oggetto delle attenzioni di Pechino da tempo immemore e “mela d’oro” del segretario di Xi Jinping, che vuole coronare il suo mandato “imperiale” con l’annessione dell’isola alla Repubblica Popolare. E pur di raggiungere questo obiettivo Xi è disposto a ricorrere anche alla violenza. Non a caso, ricorda sempre Natalizia, il Segretario ha avviato un programma di potenziamento delle Forze Armate che mira ad ottenere la parità con gli Stati Uniti entro il 2049.

E proprio la questione di Taiwan potrebbe rappresentare l’errore di calcolo in grado di avviare un conflitto secondo la direttrice dell’Istituto Affari Internazionali Nathalie Tocci: “In caso di azione militare cinese a Taiwan, declinabile sia come blocco navale che come invasione vera e propria, sono ababstanza sicura che gli Stai Uniti entrerebbero in guerra”. Declinando i rapporti tra Stati Uniti e Cina attraverso le principali lenti dottrinarie delle relazioni internazionali, la direttrice dello Iai delinea una situazione “conflittuale” trasversale a tutte le dimensioni. Quello tra Washington e Pechino non è infatti soltanto uno scontro tra grandi potenze rivali, ma anche uno scontro tra differenti sistemi politici, e un confronto tra sistemi multilaterali contrapposti: a questo riguardo Tocci sottolinea come le piattaforme multilaterali più efficienti oggi sono appunto il G7 e i Brics, che fanno entrambi riferimento a due blocchi contrapposti.

Una contrapposizione che si inserisce all’interno di un più globale scenario conflittuale. Un mondo che, secondo l’ambasciatore Giovanni Castellaneta, è “come vulcano in fase d’eruzione, con focolai ovunque e in attesa di un definitivo assestamento, che speriamo non sia la deflagrazione di una guerra mondiale”. Nella quale finirebbe inevitabilmente coinvolta anche l’Europa, che non è pronta ad una simile eventualità. A Castellaneta, che sottolinea la tendenza innata dell’Europa alla pace e al commercio, fa eco Tocci, che si chiede in modo provocatorio “Come ci stiamo preparando a questa eventualità come Europa? Non ci stiamo neanche iniziando a pensare. E questo è un problema”.

A coronare il dibattito è l’intervento dell’autore del libro, che si sofferma su come il regime di Xi sia un regime basato sul culto della personalità, portando come esempi il caso di Hu Jintao e della sua pubblica defenestrazione al congresso del Partito Comunista Cinese svoltosi nel 2020, o ancora quello del fondatore di Ali Baba Jack Ma, la cui popolarità rischiava di superare quella dello stesso Xi. Ma proprio questo contesto verticistisco potrebbe essere alla base della rovina del Segretario. “Xi paga il prezzo di errori clamorosi, classici errori clamorosi di un leader al comando che non ascolta più voci dissonanti ed elimina quelli che suggeriscono tesi opposte alle sue”, afferma Pagliara, che ricorda come la gestione della pandemia abbia evidenziato delle crepe nel sistema cinese. E che quindi l’autocrazia di Pechino possa essere in realtà meno solida di quanto sembri.


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