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Prodotti senza combustione. A che punto è il dibattito in Italia e all’estero

Sin dalla loro introduzione sul mercato, i prodotti alternativi al tabacco combusto hanno alimentato, anche all’interno della comunità medico-scientifica e dei policy-maker, un dibattito fortemente polarizzato, che vede in forte contrapposizione, non senza accese polemiche, chi sottolinea che le evidenze scientifiche non sono ancora sufficienti per avere un quadro completo del loro profilo di rischio e, chi invece vede in questi prodotti uno strumento importante per integrare le attuali politiche di prevenzione e controllo del fumo

“Nonostante sia evidente che i prodotti che producono vapore e non fumo riducano di molto il rischio e il danno, il marketing aggressivo delle grandi compagnie del tabacco ha prodotto altri danni. I produttori hanno invaso i territori sacri della scienza e dei suoi rappresentanti prendendo contatti diretti con società scientifiche, supportando convegni, difendendo la nuova era, quella della harm reduction. Questo ha messo in allarme chi segue da sempre il tabagismo e i comparti della sanità. Nonostante sia evidente che se tutti i fumatori passassero all’elettronico avremmo un crollo di incidenza e prevalenza di molti tumori, i vaporizzatori non vengono più visti come strumenti di harm reduction, ma come strumenti di marketing”. Le parole del professor Giacomo Mangiaracina, specialista in Salute pubblica, docente alla facoltà di Medicina e Psicologia all’Università Sapienza di Roma, presidente dell’Agenzia nazionale per la prevenzione, spiegano tanto sinteticamente quanto esplicitamente quello che quasi sempre rimane tra le righe del dibattito sui prodotti senza combustione: secondo una parte rilevante della comunità medico-scientifica, prima ancora di una valutazione nel merito della scienza dei prodotti senza combustione, è la presenza stessa dell’industria del tabacco a precludere ogni possibilità di dialogo. In altre parole: poiché i nuovi prodotti senza combustione sono commercializzati dall’industria, e dal momento che è la stessa industria molto spesso a condurre ricerche su tali prodotti, la comunità medico-scientifica ha il dovere di respingere qualsiasi istanza da essa proveniente.

Le responsabilità dell’industria del tabacco sulla percezione della propria affidabilità sono evidenti, e affondano le proprie radici nella seconda metà del secolo scorso, quando il dibattito sulla dannosità del fumo di sigaretta incontrò non pochi ostacoli, soprattutto da parte dell’industria, per vedere affermare la verità oggi scientificamente comprovata che il fumo è la principale causa di morte evitabile del pianeta. Tuttavia, se come afferma il professor Mangiaracina è vero che “è evidente che i prodotti senza combustione riducano di molto il rischio e il danno”, il risultato di un rifiuto a priori delle opportunità messe a disposizione da scienza e tecnologia non può che essere un circolo vizioso che rende difficile un confronto oggettivo sulla scienza, con il rischio che questa contrapposizione lasci i fumatori senza informazioni sul diverso grado di rischio dei prodotti senza combustione rispetto alle sigarette. Si tratta di una mancanza che inevitabilmente incide sulla consapevolezza e sulla conoscenza, che sono i due presupposti per scelte più consapevoli e che possono avere enormi impatti sulla salute pubblica.

Sin dalla loro introduzione sul mercato, l’arrivo dei prodotti alternativi al tabacco combusto ha alimentato, anche all’interno della comunità medico-scientifica e dei policy-maker, un dibattito fortemente polarizzato, che vede in contrapposizione, non senza accese polemiche, chi sottolinea che le evidenze scientifiche non siano ancora sufficienti per avere un quadro completo del loro profilo di rischio e, chi invece vede in questi prodotti uno strumento importante per integrare le attuali politiche di prevenzione e controllo del fumo, proprio per fornire ai fumatori che non smettono un’alternativa con un profilo di rischio potenzialmente diverso. Si è già ampiamente discusso della posizione di chiusura dell’Oms sul tema. Ciò che va registrato è che tale posizione non accenna a essere messa in discussione, né alla luce delle crescenti evidenze scientifiche disponibili, né considerando l’apertura di autorevoli enti di salute pubblica a livello internazionale, né alla luce delle ripetute sollecitazioni di esperti di salute pubblica in tutto il mondo.

Lo scorso novembre, cento tra scienziati, medici ed esperti del settore hanno scritto una lettera ai Paesi membri della Convenzione quadro sul controllo del tabacco per chiedere un rinnovamento dell’approccio alle politiche del tabacco affinché riconoscano che i prodotti “senza fumo” sono meno dannosi delle sigarette tradizionali. I firmatari, in quell’occasione, hanno sostenuto che sebbene sussista ancora dell’incertezza sui benefici e sui rischi a lungo termine associati ai prodotti del tabacco senza combustione, e che probabilmente vi è un continuum di rischio in queste alternative alle sigarette tradizionali, è necessario considerare le prove a disposizione e non permettere che un’eccessiva cautela o incertezza residua possa negare ai fumatori valide alternative per abbandonare i prodotti a combustione che sappiamo con certezza essere letali.

“Purtroppo – sottolineano i firmatari – l’Oms ha avuto scarsa considerazione dell’opportunità di trasformare il mercato del tabacco passando da prodotti ad alto rischio a prodotti a basso rischio. L’Organizzazione mondiale della sanità sta scartando una strategia di salute pubblica che potrebbe evitare milioni di morti legate al fumo”, hanno sostenuto. Nella lettera, gli esperti segnalano un punto nodale nel rapporto tra evidenze scientifiche e scelte di politica sanitaria: “Le parti del Fctc non dovrebbero essere distratte dal significativo potenziale di salute pubblica dei prodotti a rischio ridotto semplicemente perché le aziende di tabacco li producono. Gli approcci di riduzione del danno coinvolgono inevitabilmente i prodotti di entità commerciali che realizzano per i consumatori dei prodotti contenenti nicotina in concorrenza con le sigarette”.

A livello italiano, tra i più convinti sostenitori del principio di riduzione del rischio figura il professor Riccardo Polosa, ordinario di Medicina interna presso l’Università di Catania e fondatore del CoeHAR, Centro di ricerca per la riduzione del danno da fumo, secondo cui “le evidenze scientifiche dimostrano ampiamente che l’uso dei prodotti alternativi riduce drasticamente l’incidenza delle morti collegate alle malattie causate dal fumo, e ciò è stato anche perfettamente compreso da milioni e milioni di utilizzatori in tutto il mondo che hanno notato un miglioramento del loro stato di salute, rinunciando alle sigarette tradizionali. Gli studi del CoeHAR – prosegue Polosa – hanno dimostrato come i prodotti senza combustione siano fino al 95% meno tossici rispetto alle sigarette convenzionali. Nel caso italiano, sarebbe importante che le politiche di salute pubblica vengano affiancate dall’applicazione del principio di riduzione del danno. Se vogliamo raggiungere un importante obiettivo di salute pubblica dobbiamo inasprire da una parte le politiche di contrasto al fumo tradizionale e dall’altra promuovere le alternative combustion free come strumenti di riduzione del danno, così come stanno facendo già in Inghilterra e in Giappone”, conclude il professore.

Sul fronte opposto, Giulia Veronesi, professoressa presso l’Università Vita-Salute San Raffaele e direttrice del programma strategico di Chirurgia robotica toracica presso l’Irccs Ospedale San Raffaele ha dichiarato in un’intervista a Formiche che: “La letteratura scientifica indipendente (conseguentemente, Organizzazione mondiale della sanità, Istituto superiore di sanità, ministero della Salute) non approva i prodotti alternativi, sia per una incertezza sugli effetti sulla salute considerato che alcune sostanze tossiche presenti nel tabacco riscaldato non sono presenti nelle sigarette tradizionali, sia nell’ottica della riduzione del danno, sia perché la nicotina è altamente nociva nei giovani per la dipendenza intensa sia per alcuni effetti cardiovascolari, incluso il favorire la formazione della placca aterosclerotica. Forse non a tutti è noto che gli entusiasti dei prodotti a tabacco riscaldato sono coloro che hanno accettato di venire a patti con l’industria del tabacco. Questo perché l’industria del tabacco mette a disposizione centinaia di milioni di euro per chi sia disposto ad accettare fondi per studiare i loro prodotti.

Secondo gli esperti indipendenti di controllo del tabagismo, accettare finanziamenti dall’industria del tabacco è considerato disdicevole. Tant’è che molti che ricevono questi finanziamenti non dichiarano conflitti di interesse e/o fanno finta di non sapere che i soldi arrivano dall’industria del tabacco”. “Inoltre – sostiene la professoressa – sembra che questi prodotti non piacciano ai ‘forti fumatori’, coloro che non riescono a smettere con altri sistemi e che potrebbero teoricamente beneficiare di un prodotto meno nocivo”. Dello stesso avviso il dottor Silvano Gallus, capo laboratorio del Dipartimento di ricerca epidemiologica medica dell’Istituto Mario Negri, che in una recente intervista afferma che: “Non esiste un dibattito su questo tema, viene creato dall’industria del tabacco. Tutta la ricerca indipendente ha già bocciato questi prodotti. Nella vita reale non esiste che questi prodotti consentano ai fumatori di smettere di fumare”. Tuttavia, lo stesso Gallus sostiene che “questi prodotti fanno meno male rispetto ai prodotti tradizionali, anche perché è difficile che ci sia un altro strumento che faccia male come questi ultimi”.

Ancora a livello italiano, è il professor Umberto Tirelli, direttore scientifico e sanitario della Clinica Tirelli Medical di Pordenone, a portare l’esempio della Svezia sostenendo la necessità di non negare ai fumatori alternative meno letali del fumo tradizionale. Per Tirelli “il mero ossequio al principio di precauzione mette a rischio la salute di tante persone, perché, e l’esempio della Svezia è lampante, i vantaggi correlati all’uso dei prodotti alternativi sono direttamente correlati a una riduzione delle malattie croniche del polmone, perché non è la nicotina la causa di questo tipo di malattie, ma è la combustione”. “In Svezia – continua il professore – una quota molto alta della popolazione maschile utilizza lo Snus, il tabacco in polvere per uso orale. Appare evidente che nel Paese la quota di tumori al polmone tra gli uomini è tra le più basse al mondo […]. La Svezia è un esempio di successo di come i prodotti alternativi alle sigarette tradizionali portino dei benefici tangibili alla salute pubblica. Il mondo pagherà l’attendismo internazionale nel comprendere che il solo principio di precauzione non ci salverà dalle morti fumo-correlate”, conclude il professore.

Secondo Ben Youdan, direttore di Youdan consulting e advisor di Ash – Action for smokefree 2025, intervenuto lo scorso anno al The e-cigarette summit Usa a proposito della legislazione della Nuova Zelanda: “Questa legislazione è molto chiara. Aiuta chi vuole abbandonare il fumo tradizionale ma vuole anche evitare di incoraggiare i giovani verso i nuovi dispositivi elettronici”. D’altra parte, prosegue Youdan, “è vero che incoraggiare i prodotti a rischio ridotto può in linea teorica far avvicinare i giovani al vaping, ma se andiamo a vedere i dati, la prevalenza di questi nuovi ‘svapatori’ evidenzia che solo il 3% non aveva mai fumato, mentre quasi l’80% era già un fumatore abituale”. Dalla più recente edizione dello stesso summit, che ha avuto luogo lo scorso maggio a Washington, arriva poi un nuovo allarme sulla direzione ostinata e contraria che la Conferenza delle parti dell’Oms sembra già in procinto di assumere equiparando i prodotti innovativi con quelli tradizionali.

Secondo David T. Sweanor, professore e presidente dell’advisory board del Centre for health law, policy and ethics presso l’Università di Ottawa: “Gli incontri della Conferenza delle parti sono diventati un esercizio di replica di protocolli internazionali fallimentari. Sono costituiti per la maggior parte da persone con scarsa comprensione delle dinamiche in gioco o che perseguono un’agenda diversa dal pragmatico perseguimento di vantaggi per la salute pubblica”. “A differenza delle conferenze su altri temi come il cambiamento climatico – continua Sweanor – la Cop dell’Fctc non è aperta agli osservatori e questa segretezza impedisce un esame, un dibattito informato e un riorientamento degli sforzi in modi molto più efficaci. Nell’era di Internet, dei social media e del massiccio commercio transfrontaliero di beni, non si può fermare la capacità delle persone di conoscere e accedere ad alternative a basso rischio alle sigarette. Ma la credibilità di coloro che perpetuano l’epidemia di sigarette opponendosi a questa tecnologia sarà alla fine distrutta ed essi passeranno alla storia come colpevoli almeno quanto le aziende produttrici di sigarette nel causare morte e malattie”, aggiunge Sweanor.

Nella stessa sede e sullo stesso tema, anche il professore americano Clifford E. Douglas, direttore del Tobacco research network dell’Università del Michigan, tra i firmatari della lettera dei cento esperti di cui sopra: “Oms e Fctc continuano a mantenere un’impostazione molto tradizionale che guarda a dismettere totalmente il principio di riduzione del danno e, se questa impostazione continuasse sarebbe un problema per il quadro globale di salute pubblica”. Ancora una volta, la ragione di queste esitazioni coinciderebbe con una profonda sfiducia nell’industria del tabacco, “sembra delinearsi una guerra tra buoni e cattivi, dove i cattivi sono rappresentati dall’industria del tabacco. Quello che questo conflitto produce è una deprivazione della scienza. Come dichiarato da moltissimi scienziati in tutto il mondo, l’Oms ha nel tempo assunto posizioni fuorvianti e sbagliate sui prodotti alternativi al tabacco e sul loro potenziale per salvare decine di milioni di vite”, conclude il professore.

Dello stesso avviso anche Clive Bates, direttore di Counterfactual consulting ltd, società di consulenza e advocacy che si occupa di salute pubblica. “Sfortunatamente, credo che l’Oms sia determinata nel combattere la propria guerra nei confronti dell’harm reduction continuando a sostenere che il vaping e gli strumenti a tabacco riscaldato Heat not burn (Hnb), debbano essere regolati come i prodotti del tabacco di tipo tradizionale, cioè proibendoli. Si tratta di un approccio privo di alcuna evidenza”, sostiene Bates. Una conseguenza particolarmente negativa di questo approccio, secondo l’esperto, sarebbe che sfortunatamente, molti Paesi in via di sviluppo, seguendo questa linea, continuerebbero a rendere disponibili le sigarette tradizionali, con effetti disastrosi sulla salute pubblica nazionale (si è già visto quanto avvenuto, ad esempio, in Cina, India, e Turchia). “La prossima Cop promuoverà sicuramente un approccio più ampiamente condiviso dai vari Paesi membri, ma si tratterà di un’impostazione che continuerà a normalizzare il proibizionismo e l’eccessiva regolazione dei prodotti alternativi del tabacco che sono a tutti gli effetti più sicuri”, sostiene ancora Clive Bates.

Anche secondo Mitch Zeller, già direttore del Center for tobacco products della Food and drug administration statunitense, della quale si è già ampiamente discusso l’orientamento sostanzialmente diverso rispetto al principio di riduzione del danno: “La Fctc ha una visione assolutamente conservativa sui benefici alla salute associati a qualunque prodotto del tabacco”. Secondo Zeller, gli strumenti che rendono ben funzionante il mercato statunitense e l’equilibrio della salute pubblica nel suo complesso riguardo ai prodotti a rischio ridotto, sono individuabili in specifiche procedure quali la Pmta (Premarket tobacco product application) e la già citata Mrtpa (Modified risk tobacco product application), che prevedono che le aziende possano presentare richieste di valutazione riguardo ai loro prodotti prima dell’immissione sul mercato, anche per una valutazione del loro diverso profilo di rischio.

“La chiave del funzionamento di questo meccanismo, che rende gli Stati Uniti diversi da tutti gli altri Paesi, molti dei quali sono anche membri dell’Fctc, è che l’onere della dimostrazione scientifica e accurata di un loro ruolo nella protezione della salute pubblica dei cittadini ricade sulle company. Ritengo che in un ambiente del tabacco giustamente regolamentato, in cui il peso della prova di una riduzione del rischio o dell’esposizione al fumo ricade sulle aziende, ci sia spazio per i prodotti alternativi. Ma la chiave è un mercato giustamente regolamentato per questi prodotti, e gli Stati Uniti, non essendo parte della Fctc sono riusciti comunque a crearlo con i giusti strumenti regolatori. Molti dei Paesi membri non hanno lo stesso quadro normativo e credo che questo spieghi l’approccio conservativo che sul tema continuano ad avere quando si tratta di prodotti a rischio modificato”, conclude Zeller.

Secondo Peter Hajek, professore di Psicologia clinica e direttore del Tobacco dependence research unit del Wolfson institute of public health presso la Queen Mary University of London, un altro effetto di questa ostilità sarebbe la disinformazione. “Il pubblico crede che le alternative del tabacco siano pericolose quanto le sigarette tradizionali, quando invece esse sono molto meno pericolose e le persone dovrebbero essere incoraggiate all’uso delle alternative meno rischiose. In conseguenza di questa postura che va contro qualunque strategia di salute pubblica corretta, [l’Oms] continuerà ad avere un grande danno in termini reputazionali”.

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