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Da cosa dipende la sicurezza di Israele. La riflessione di Tzogopoulos

Di George Tzogopoulos

È difficile credere che le condizioni attuali favoriscano la pace dopo l’ennesimo round di ostilità. Israele è certamente capace di prendere delle decisioni strategiche e militari e salvaguardare la propria sicurezza, ma la questione palestinese rimarrà irrisolta. L’analisi di George Tzogopoulos, senior fellow della Hellenic foundation for european and foreign policy e del Begin-Sadat center for strategic studies

Gli attacchi terroristici contro Israele perpetrati da Hamas il 7 ottobre hanno inaugurato una nuova fase di violente tensioni in Medio Oriente. La condanna dei feroci atti da parte della comunità occidentale è stata una reazione naturale. Il comunicato congiunto firmato dai leader di Italia, Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti testimonia la logica comune e chiarisce che “non c’è mai una giustificazione per il terrorismo”.

Dimostra, inoltre, il supporto deciso dei cinque Paesi a Israele nei suoi sforzi di difesa, considerato conforme all’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. In tandem con il trauma delle atrocità contro civili innocenti, il dogma della sicurezza israeliana è stato significativamente messo in crisi.

Israele, un Paese generalmente considerato un modello per la sua Intelligence avanzata e per le sue sviluppate capacità di early warning, non aveva previsto un attacco su ampia scala, con un’estensione maggiore rispetto alle precedenti azioni terroristiche da parte di Hamas; per essere precisi, quello del 7 ottobre è stato il più devastante nella storia del Paese.

Alla luce di questa situazione Tel Aviv dovrà ricostruire la propria strategia ma, prima di fare ciò, avrà bisogno di organizzare la propria risposta. La natura della reazione israeliana sarà al centro delle attenzioni mondiali. Non è la prima volta che un’operazione militare nella Striscia di Gaza viene qualificata come una policy option, guardando al passato si possono trarre degli spunti per analizzare la complessa situazione venutasi a creare a seguito degli attacchi del 7 ottobre.

Per cominciare, Israele sta elaborando la propria reazione militare facendo affidamento su un “vantaggio strategico”: il barbarismo di Hamas. Non è facile ricordare dei casi in passato in cui sia gli Usa sia le maggiori potenze europee si siano espresse in modo così vocale in supporto al diritto di Israele all’autodifesa. Di fatto, i Paesi europei tendevano a essere più scettici. In aggiunta, adesso Israele è determinata a prendere tutte le misure necessarie per smantellare l’arsenale di Hamas e scongiurare che i suoi leader e altro personale dell’organizzazione abbiano accesso a tecnologie militari.

Un passo avanti: in precedenza le Forze di difesa israeliane non hanno mai provato seriamente a raggiungere tale obiettivo. Ciò era dovuto principalmente al supporto dell’opinione pubblica internazionale verso i palestinesi e il loro dramma. Viste le nuove circostanze, il governo israeliano potrebbe non rispettare necessariamente un tipo di reazione così empatica verso la causa palestinese. Potrebbe invece cercare di concludere le ostilità alle proprie condizioni. Ciononostante, nessuna guerra è esente da rischi.

I palestinesi che vivono lungo la Striscia di Gaza vivranno un altro incubo, dopo averne già vissuti tanti negli anni. Una catastrofe umanitaria non può essere evitata facilmente. Inoltre c’è uno scenario che non può essere ignorato: una escalation della situazione attuale potrebbe portare i nemici di Israele, principalmente Hezbollah, a unirsi al conflitto. Le forze di difesa israeliane sono state addestrate a rispondere a una guerra su molteplici fronti, ma la realtà è certamente più complicata.

Oltre tutto, non è chiaro come la potenziale eliminazione fisica di Hamas dalla Striscia di Gaza possa contribuire alla stabilità della regione. Che una sconfitta dell’estremismo, che non è certamente limitato a Hamas, possa comportare la nascita di voci più moderate è tutto da vedere. Non è un caso che i sondaggi prima del 7 ottobre dimostravano un notevole supporto palestinese verso Hamas. La storia dimostra che è praticamente impossibile combinare la sicurezza israeliana e la dignità palestinese.

Gli Usa hanno investito parecchio capitale diplomatico in quello che viene definito il processo di pace del Medio Oriente, senza però ottenere una vera svolta nella questione palestinese. L’eradicazione del terrorismo antisionista e la simultanea instaurazione di uno Stato palestinese sembra quasi un’illusione nel mondo contemporaneo. L’ultima opportunità è stata forse mancata a Camp David nel 2000, durante la presidenza di Bill Clinton. È difficile credere che le condizioni attuali favoriscano la pace dopo l’ennesimo round di ostilità. Israele è certamente capace di prendere delle decisioni strategiche e militari e salvaguardare la propria sicurezza, ma la questione palestinese rimarrà irrisolta.

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