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Sociali e geopolitiche, le dinamiche di un antisemitismo in crescita

Dall’accademia alla politica, italiane o meno, sono state numerose le voci intervenute al convegno ospitato in Piazza Capranica. Con l’obiettivo di cogliere le sfumature sociali e geopolitiche di un fenomeno antisemita in pericolosa crescita

Un antisemitismo dilagante, il cui fuoco sembra essersi riacceso con particolare vigore dopo gli attacchi del 7 ottobre. E che non sembra destinato a spengersi rapidamente. È questo il tema del convegno “Rome-Jerusalem Summit on Global Antisemitism” svoltosi giovedì 23 novembre presso il Senato della Repubblica. Una mattinata interamente dedita a sviscerare le dinamiche dell’antisemitismo sia in chiave sociale che in chiave geopolitica, così da comprenderne appieno la pericolosità.

Ad aprile i lavori, i saluti del senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, promotore dell’incontro, che ha esplicato le motivazioni per cui è stata percepita la necessità di organizzare un simile evento. Soprattutto con la forte eruzione del fenomeno registrata nelle ultime settimane, come delineato dal prefetto Giuseppe Pecoraro, Coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo: “Prima del 7 ottobre non ci fosse un vero fenomeno antisemita. Erano tutti episodi isolati. Ma dopo il 7 ottobre è cambiato tutto”. Un fenomeno connotato da forte pregiudizi, come rimarcato anche da Andrea Cangini, segretario generale della Fondazione Luigi Einaudi, e firma di questo giornale, che ha paragonato la questione palestinese a quella del popolo curdo e degli uiguri, verso i quali non c’è però la stessa attenzione mediatico-politica.

Nel corso del dibattito è stato evidenziato come l’antisemitismo rimanga dunque ben radicato all’interno del dominio politico, pronto a fuoriuscire non appena la situazione lo consenta. Ma a parlare non sono soltanto relatori italiani. “Quest’occasione che si svolge a Roma, una delle due grandi capitali della nostra civiltà giudaico-cristiana, ha luogo in uno dei momenti più bui, dove mentre è in corso la più grande tragedia sin dall’epoca nazista. È come un nuovo Olocausto”, ha affermato Dan Dyker, presidente del Jerusalem Center for Public Affairs, “In questo grande Paese, ma anche in tutta Europa e negli Stati Uniti, in migliaia si schierano a favore di Hamas. Per questo ci incontriamo oggi, per combattere l’antisemitismo, perché l’antisemitismo è solo l’inizio”, ha aggiunto. Un tema ripreso anche da Dani Danyan, presidente del memoriale Yad Vashem, che ha denunciato simili atti avvenuti in tutto il mondo, dal Daghestan all’Opera di Sidney, dalla Cornell University a Roma.

Atti che, appunto, non si rivolgono soltanto contro la comunità ebraica. “Quando in Italia le nostre pietre d’inciampo vengono bruciate non è la memoria degli ebrei che viene distrutta, è quella dell’Occidente”, ha dichiarato  lapidaria Fiamma Nirenstein, firma del Giornale e senior fellow del Jerusalem Center for Public Affairs, nel suo breve intervento composto da parole “di necessità, così come di necessità è la guerra che Israele sta portando avanti oggi per combattere la campagna genocida”. A Nirenstein ha fatto eco anche Yossi Kuperwasser, già capo della divisione ricerca dell’intelligence militare israeliana e direttore generale del ministero degli Affari strategici: “L’antisemitismo islamico è solo una componente del più grande odio dell’Islam verso l’Occidente”.

La concretezza di questo fenomeno è stata resa attraverso i dati forniti da Michele Groppi, docente del King’s College di Londra e autore di rapporti di ricerca quantitativa che dimostrano quanto il fenomeno dell’antisemitismo sia diffuso in modo trasversale, soprattutto all’interno di determinate comunità. Questo fenomeno dev’essere combattuto con “mezzi nuovi e appositamente sviluppati”, ha chiesto a gran voce Alon Bar, ambasciatore d’Israele in Italia.


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