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Taiwan, l’onda sismica della possibile crisi secondo Claudio Pagliara

Di Claudio Pagliara

Per la Cina c’è una crisi all’orizzonte e se scoppiasse avrebbe effetti ben più devastanti della guerra in Ucraina, e propagherebbe nel mondo un’onda sismica più ampia di quella del Covid: Taiwan. Pubblichiamo un estratto dal libro di Claudio Pagliara, corrispondente Rai negli Stati Uniti, “La tempesta perfetta. Usa e Cina sull’orlo della terza guerra mondiale”, edito da Piemme

La Cina nei confronti degli investimenti stranieri alterna il canto delle sirene ai tamburi di guerra. Da un lato, non perde occasione per dire che terminate le restrizioni dovute al Covid, il Paese è di nuovo aperto al business. Xi Jinping stende il tappeto rosso a Bill Gates, definendolo “il primo amico americano che vedo da molto tempo a questa parte”. Elon Musk viene ricevuto dall’allora ministro degli Esteri, Qin Gang, quasi fosse l’artefice della politica estera degli Stati Uniti. E ai leader europei che vanno a trovarlo, il presidente cinese ripete che la Cina considera l’Europa “un partner strategico globale”.

Dall’altro lato, però, la Cina crea un clima sempre più ostile agli investimenti stranieri. L’ultima fonte di preoccupazione viene dalla revisione della legge sullo spionaggio, entrata in vigore il primo luglio del 2023. Vaga al punto giusto, da far temere una sua applicazione discrezionale. L’attività di spionaggio ora non consiste solo nell’acquisizione di segreti di stato, ma anche di qualunque informazione relativa alla sicurezza nazionale. Le nuove disposizioni mettono in allarme la comunità business straniera. Il possesso di dati economici o produttivi, che sono essenziali per svolgere un’attività imprenditoriale, potrebbe innescare l’accusa di spionaggio? Secondo Washington, anche giornalisti e docenti universitari potrebbero essere in pericolo. E non si tratta di timori infondati. Da novembre 2022 ad aprile 2023 la polizia compie una serie di raid negli uffici di tre società di consulenza straniere – Capvision, Mintz, e Bain & Company –, che forniscono informazioni di mercato alle aziende che vogliono investire in Cina. Nel caso di Mintz, cinque dipendenti cinesi sono arrestati per presunta attività «illegale». Un altro segnale che le condizioni per fare affari in Cina stanno diventando sempre più difficili è la riduzione del numero e della qualità dei dati economici ufficiali forniti dal Consiglio di stato.

Per la prima volta da quando gli associati vengono esortati a esprimere una valutazione sulle prospettive del mercato cinese, nel 2023 il barometro della Camera di commercio degli Stati Uniti in Cina registra una maggioranza dei suoi membri meno favorevole a investire nel paese nonostante le dimensioni del suo mercato. Anche le aziende europee sono diventate più diffidenti. “I nostri soci non stanno investendo come prima” conferma Carlo d’Andrea, vice presidente della Camera di Commercio europea in Cina. “E chi investe sceglie la formula ‘Cina più uno’: una parte del capitale in Cina, il resto in un altro Paese asiatico”.

È il de-risking, la diversificazione degli investimenti, la ricerca di alternative, principalmente in India e nel Sud-est asiatico, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dalla Cina, divenuta aggressiva e minacciosa. Una strategia più morbida dell’irrealistico decoupling, il disaccoppiamento, o il divorzio, ma comunque destinata a ridisegnare la mappa dei rapporti commerciali e politici tra Occidente e Oriente. Il mercato cinese è sempre stato difficile. Ma la gestione della pandemia da parte delle autorità cinesi ha fatto crollare la fiducia degli investitori sulla stabilità del paese e la prevedibilità della sua direzione di marcia. E c’è un’altra crisi all’orizzonte, che se scoppiasse avrebbe effetti ben più devastanti della guerra in Ucraina, e propagherebbe nel mondo un’onda sismica più ampia del Covid: Taiwan.

 



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