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Torna il Pci ma adesso il Centro non può tardare. Scrive Merlo

Di fonte ad una sinistra radicale e massimalista è necessario far scendere in campo non un progetto speculare che rischia solo di alimentare la sub cultura degli opposti estremismi ma, al contrario, una ricetta politica, culturale, e programmatica che rilanci un progetto riformista e di governo

Dunque, è abbastanza evidente, almeno per chi non coltiva pregiudizi ideologici o politici, che è tornato il Pci. Certo, non il vecchio Pci come l’abbiamo conosciuto. Perché, nel frattempo, è cambiata la storia, è mutata la politica, sono scomparsi i partiti popolari e di massa, è tramontata una classe dirigente preparata e rappresentativa e, in ultimo, si sono molto affievolite le tradizionali culture politiche. Ma, anche di fronte ad uno scenario radicalmente diverso rispetto a quella stagione, è indubbio che ci troviamo di fronte ad una fase politica che, seppur in miniatura, ripropone alcune categorie del passato.

E, per fermarci al campo della sinistra, il grande merito di Elly Schlein è quello di aver riscoperto alcuni elementi cardinali dell’esperienza della vecchia esperienza comunista nel nostro paese. Dal valore salvifico e miracolistico della “piazza” alla riproposizione della storica “cinghia di trasmissione” con il sindacato, cioè la Cgil; dalla delegittimazione morale e politica dell’avversario/nemico di turno alla presunta “superiorità morale” rispetto a tutti gli altri interlocutori; dal rifiuto del dialogo e del confronto con il nemico irriducibile – ieri la Dc e Berlusconi e oggi il centro destra e Giorgia Meloni, a cavalcare tutte le istanze delle minoranze alla solita denuncia di “minaccia alle libertà”, “torsione autoritaria” e “ritorno del regime” quando la sinistra non governa.

Ora, pur non essendo la Schein nativa comunista, è indubbio che torna il vecchio armamentario comunista e di sinistra con tutto il suo caravanserraglio di appoggio culturale, televisivo, giornalistico, editoriale ed accademico. Anche su questo versante non c’è nulla di nuovo perchè si tratta di una costante storica che ha accompagnato il cammino politico, culturale ed organizzativo della sinistra ex e post comunista. Ed è proprio di fronte a questa novità che cambia il profilo politico del Pd e della stessa sinistra nel nostro paese rispetto all’intuizione originaria dello stesso Partito democratico, che è giunto veramente il momento per ricostruire anche un campo politico contrapposto al blocco della sinistra radicale, massimalista e populista.

E questo campo non è la ricostruzione della destra ma, semmai, quello di un Centro democratico, riformista, innovativo e dinamico. Perchè questa era e resta la vera sfida politica, culturale e di governo attorno alla quale si gioca anche il futuro della democrazia italiana e della stessa azione di governo. Un Centro che non può e non dev’essere statico e che vive di sola rendita di posizione. Ma, al contrario, un luogo politico che sia in grado di contrapporsi al ritorno della sinistra che ripropone il vecchio bagaglio di una ideologia e di un comportamento che si rinnovano ma che sono sempre fortemente ripetitivi e quasi lineari rispetto al passato.

E questo perché il Centro e la “politica di centro”, storicamente, rappresentano una costante del nostro sistema politico ed istituzionale. Certo, non ritorna più la Democrazia cristiana ma, comunque sia, del Centro oggi c’è bisogno. La politica, ancora una volta, cambia rapidamente e la capacità di sapersi sintonizzare con le novità con la dovuta attenzione è la priorità. Perché di fonte ad una sinistra radicale e massimalista è necessario far scendere in campo non un progetto speculare che rischia solo di alimentare la sub cultura degli “opposti estremismi” ma, al contrario, una ricetta politica, culturale, e programmatica che rilanci un progetto riformista e di governo. E questo non può che essere un progetto politico di Centro.



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