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Transizione, così si rinnova il dialogo con l’Africa. Al via l’Inaet

Eni e Luiss hanno inaugurato il Network internazionale per la transizione energetica africana. Presenti istituzioni, think tank, accademici e personalità dall’Italia e da dieci Paesi africani per lavorare a una piattaforma comune. L’obiettivo è sbloccare il potenziale inespresso del continente costruendo insieme le condizioni per cooperare. Il tema sarà al centro del G7 a guida italiana, come ha assicurato a Formiche.net il sottosegretario Silli

Lo spirito del venturo Piano Mattei, come spiegava il presidente del Consiglio Giorgia Meloni dal Mozambico, prevede che Italia e Paesi africani scrivano insieme il futuro della loro collaborazione. Serve studiare le soluzioni migliori, mirare gli investimenti e stendere i binari della cooperazione “non predatoria” su cui spinge il governo italiano. Il Piano è rimandato a causa della crisi in Medio Oriente, ma intanto sta già emergendo l’infrastruttura per rendere possibile tutto questo.

Questa l’intenzione di Eni e l’Università Luiss Guido Carli di Roma nell’inaugurare l’International Network on African Energy Transition (Inaet). La due giorni di incontri e tavole rotonde ha riunito istituzioni, università, think tank e studiosi provenienti da Africa ed Europa (e non solo) con l’intento di fotografare e approfondire le condizioni e le potenzialità che possono fiorire attraverso il Mediterraneo. Il continente africano ospita alcune delle economie con la crescita più rapida del pianeta, e la transizione, sia la loro che quella europea, rappresenta un’opportunità immensa: l’ambizione del nuovo Network è coglierla esplorando nuovi percorsi di collaborazione tra chi siede al tavolo.

Con questo obiettivo si sono seduti i rappresentanti accademici e istituzionali provenienti da Algeria, Congo, Costa d’Avorio, Egitto, Etiopia, Kenya, Mozambico, Nigeria, Ruanda e Sudafrica. Da parte europea e occidentale hanno preso parte Fmi, Fao, Irena, Atlantic Council e l’Istituto Universitario Europeo, oltre a Farnesina e Cdp – i protagonisti del Piano Mattei. Il tutto è stato facilitato da Eni, che consolida il suo network africano dagli anni Cinquanta e oltre a mandare avanti le sue tradizionali attività è dietro a diversi dei progetti più innovativi in materia di transizione nel continente, e dall’ateneo ospitante, che vanta expertise di spicco nel settore e contribuisce attivamente alla formazione della futura classe dirigente africana.

È stato proprio il rettore della Luiss Andrea Prencipe ad aprire i lavori, spiegando che l’obiettivo essenziale della conferenza inaugurale di Inaet era ampliare il dibattito sul tema della transizione. L’Africa “rappresenta una grande ricchezza particolarmente distribuita e caratterizzata da diversità che puo’ contribuire efficacemente al futuro dell’energia, quindi del progresso dell’umanità”, ha detto, puntualizzando che però l’approccio richiede “un cambio di prospettiva: fino a poco tempo fa ci si chiedeva cosa facevamo noi per l’Africa, adesso bisogna capire cosa l’Africa può fare per noi”.

Per sviluppare un nuovo rapporto, più collaborativo, sappiamo di dover superare queste percezioni distorte, ha sottolineato Lapo Pistelli, direttore degli affari pubblici di Eni. “Spesso parliamo di Africa senza conoscerla. Rappresenta il 3% del Pil globale e solo il 2% delle emissioni, ma è la più colpita dal cambiamento climatico”. Normale, come ha spiegato alla stampa Giovanni Carbone (capo del Programma Africa dell’Ispi) ai margini dell’evento, che ci sia una percezione generalizzata di ingiustizia nel continente: i Paesi africani pensano che gli si stia chiedendo di dare risposte a problemi non causati da loro, che serva valutare le responsabilità storiche dei Paesi sviluppati, e che le richieste di decarbonizzare siano ingiuste e sproporzionate rispetto alle risorse finanziarie disponibili.

Il discorso è quanto mai attuale a poche settimane dall’apertura della Cop28 di Dubai, dove il tema di quanto debbano contribuire i Paesi sviluppati alla transizione ecologica e alla mitigazione dell’impatto del riscaldamento globale di quelli emergenti (cosiddetto loss and damage) sarà al centro del dibattito. E il dialogo richiede vicendevole comprensione, ha detto Pistelli: servono buona volontà e umiltà da parte occidentale per trovare un compromesso. Come anche la comprensione che i temi della sicurezza alimentare e della migrazione non possano essere scissi da quello della transizione, e che serva un approccio olistico.

Questo genere di interazione con i Paesi africani si sposa con una delle priorità più urgenti espresse dalla prima conferenza africana sul clima di Nairobi (e riecheggiata all’evento Inaet): porre le condizioni per attrarre gli investimenti del settore privato. Una sfida che al pari di quelle del clima e della sicurezza richiedono la partecipazione delle istituzioni. E l’Italia – che punta a rinforzare il proprio ruolo come hub energetico del mediterraneo, forte della sua ramificazione di interconnessioni elettriche e gasifere, secondo mercato di destinazione per l’esportazione africana di energia – è intenzionata ad agire come punto di raccordo, ha spiegato il sottosegretario agli Esteri Giorgio Silli.

Il dossier Africa avrà “sicuramente una grandissima rilevanza” nel G7 a guida italiana del 2024, ha detto Silli a Formiche.net a margine dell’evento, dipingendo il Piano Mattei come uno “strumento importantissimo non solo per noi ma anche per gli altri Stati” che “deve e può diventare un modello che tutti devono seguire”. Vero è che la storia dei rapporti tra i vari Paesi europei e quelli africani sono diverse, variegate e talvolta conflittuali, ma l’Europa è uno “strumento meraviglioso” per armonizzare l’approccio. Lo stesso deve avvenire all’interno del gruppo di democrazie sviluppate, ha concluso il sottosegretario, dove l’Africa “deve essere portata avanti come una priorità da tutti i governi che hanno avuto la fortuna di svilupparsi e, appunto, far parte del G7”.


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