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Tra progetti cancellati e rischi cinesi, l’eolico va in crisi in Usa e Ue

Una serie di passi indietro negli States e le difficoltà europee (aggravate dalla competizione asimmetrica con la Cina) sono gli ultimi segnali di difficoltà diffuse. Inflazione e strozzature lungo le supply chain stanno rendendo l’eolico meno attraente: come se ne esce?

Cattive notizie per l’eolico offshore: sono ufficialmente naufragati i piani di Siemens Gamesa, azienda spagnola tra le più importanti nel settore, di costruire un parco eolico al largo delle coste di Portsmouth, in Virginia. L’azienda ha spiegato laconicamente che “non è stato possibile rispettare le tappe di sviluppo” del progetto da 200 milioni di dollari, senza fornire ulteriori dettagli. Ma è l’ultimo in una serie crescente di progetti cancellati negli Stati Uniti, che pure hanno messo da parte svariati miliardi per l’eolico con l’Inflation Reduction Act.

Ci sono venti contrari sul lato economico – l’inflazione sta tornando sotto controllo, ma i tassi di interesse rimangono alti – e logistico, nella forma di frizioni lungo le catene di approvvigionamento delle materie prime, alcuni di matrice politica. Si stanno impattando la redditività e persino la fattibilità di svariati progetti eolici offshore. Nelle ultime settimane la danese Orsted ha abbandonato due grandi progetti al largo delle coste del New Jersey, accettando una svalutazione di 4 miliardi di dollari e adducendo sia i tassi che le supply chain come motivi. Stessa sorte per un parco eolico nelle acque antistanti al Massachusetts, con protagonista Avangrid, una controllata della spagnola Iberdrola.

Questa ondata di progetti accantonati rende sempre più difficile la spinta della Casa Bianca nel campo dell’eolico. L’amministrazione guidata da Joe Biden ha in progetto di installare turbine offshore per 30 gigawatt (abbastanza per alimentare 10 milioni di case in Usa) entro il 2030. I calcoli fatti tra il 2020 e il 2021 già tenevano in considerazione il fatto che anche a fronte di un crollo generalizzato nel prezzo delle rinnovabili, l’industria dell’eolico ha bisogno di ingenti sussidi statali per poter competere con le alternative. Ma le conseguenze della policrisi degli ultimi anni è che questi progetti oggi sono molto più costosi.

Il discorso vale anche per il Vecchio continente, che storicamente è leader nella produzione di energia eolica ma sta soffrendo anche più degli Usa. Nella prima metà dell’anno l’Ue ha installato solo 1,3 gigawatt degli 11 che dovrebbe aggiungere annualmente secondo gli obiettivi delineati nel Green Deal. L’inflazione, specie quella energetica, rimane persistentemente alta, mentre una serie di strozzature lungo le catena di approvvigionamento e i ritardi nell’ottenimento dei permessi stanno spaventando le realtà europee: la stessa Siemens ha appena chiesto e ottenuto altri miliardi in sovvenzioni dal governo tedesco, mentre il Regno Unito si prepara a offrire sussidi molto più alti per dare ossigeno al settore.

La prospettiva europea è peggiorata anche dal fatto che a differenza delle controparti statunitensi, i produttori europei devono anche temere la competizione asimmetrica dei rivali cinesi, che stando a BloombergNEF oggi possono produrre una turbina a metà prezzo. L’effetto delle sovvenzioni di Pechino è evidente: “Nel giro di due anni, l’Europa ha perso il primato di principale mercato mondiale dell’eolico a favore della regione Asia Pacifico. Ora questa tendenza comincia ad essere visibile anche qui nell’Ue”, ha detto la commissaria europea per l’energia Kadri Simson a fine ottobre presentando un pacchetto di misure per agevolare i finanziamenti e stringere le maglie sui sussidi esteri.

Tra le proposte della Commissione ci sono anche elementi protezionisti, sulla falsariga di quelli presenti nell’Ira statunitense, che favorirebbero i produttori europei nella distribuzione di sussidi statali. Il pacchetto è stato presentato come agnostico a livello di Paesi, ma è chiaro che le misure riguardino la Cina e il rischio che il settore europeo dell’eolico – per dirla come l’ha detta l’eurodeputato danese Morten Helveg Petersen, che si occupa approfonditamente di offshore – possa finire per essere “[servito] alla Cina su un piatto d’argento”, come a suo tempo lo fu quello del solare.

Decenni di ricerca e sviluppo nel campo delle rinnovabili hanno permesso di abbatterne il costo a ritmi impressionanti, al punto che spesso sono più attraenti delle alternative fossili anche per i Paesi emergenti. Tuttavia, il contesto internazionale (specie gli sviluppi legati alle guerre in Ucraina e Medioriente, ma anche le rivalità sistemiche tra Occidente geopolitico e Cina) non suggerisce che i problemi relativi all’inflazione e alla supply chain si risolveranno nel breve. È lecito aspettarsi che col raffreddarsi di queste crisi possano migliorare le condizioni per l’eolico, ma non è detto che chi mantiene la tensione sul versante delle commodity sia incentivato a ridurla e contribuire alla transizione energetica.


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