L’assalto di Hamas di un mese fa supera qualsiasi considerazione politica sul governo di Israele, sul primo ministro Benjamin Netanyahu o sulla soluzione dei due Stati, spiega Victor Fadlun, presidente della Comunità ebraica di Roma. “Non possiamo confondere il piano politico con quello del crimine perpetrato”
Esattamente un mese fa, Hamas attaccava Israele. Un evento senza precedenti che va oltre la politica, afferma Victor Fadlun, presidente della Comunità ebraica di Roma, a Formiche.net.
Che significato ha avuto quell’attacco?
Si è trattato di un evento senza precedenti: civili sono stati attaccati da miliziani che, utilizzando strumenti militari sofisticati, hanno varcato il confine del loro Paese per ucciderli nelle loro case o mentre erano impegnati in attività normali, portando poi i sopravvissuti a Gaza come emblema della loro vittoria, per poi relegarli nelle oscure grotte di Gaza e sottoporli a chissà quali violenze. È stata un’azione intrisa di odio antiebraico, con una ferocia e brutalità che vanno oltre la politica.
Che cosa vuol dire esattamente?
Tali azioni superano qualsiasi considerazione politica sul governo di Israele, sul primo ministro Benjamin Netanyahu o sulla soluzione dei due Stati. Non possiamo confondere il piano politico con quello del crimine perpetrato. Si tratta di due realtà nettamente distinte. Non è possibile sedersi a negoziare con chi ha commesso tali atrocità. Chi commette tali azioni deve essere perseguito.
Come valuta la risposta della politica italiana?
Abbiamo ricevuto subito un grande sostegno e solidarietà da parte delle forze politiche, tutte hanno condannato le violenze di Hamas. Tuttavia, si sono sollevate alcune distinzioni riguardo alle “colpe” di Israele.
Come?
Si sta assistendo a una rinascita di un certo antisemitismo strumentale. Tuttavia, Israele non può essere identificato con il popolo ebraico. Io stesso sono un ebreo italiano. Perché compiere atti di violenza generalizzati, se non per antisemitismo? Si sta cercando di frammentare le nostre società democratiche, sfruttando in termini comunicativi tematiche divisive relative a ciò che accade in Israele e a Gaza.
In che modo?
Si utilizza un malinteso e strumentalizzato antisemitismo per creare un blackout nella comunicazione internazionale e per identificare Israele con gli ebrei e una presunta guerra santa che non esiste. L’interesse principale di Israele è la difesa dei propri cittadini e la principale minaccia sono i miliziani di Hamas, non la popolazione palestinese indifesa. Tuttavia, Hamas si nasconde tra i civili causando una tragedia e un dilemma morale che straziano l’animo.
Ha menzionato un tentativo di dividere le società democratiche. Anche in Italia?
La profanazione delle pietre d’inciampo è un esempio: si tratta di atti che colpiscono la nostra democrazia alla radice e non hanno nulla a che fare con Israele. Lo stesso si può dire di coloro che durante le manifestazioni bruciano la bandiera di Israele e ne invocano la distruzione, o di coloro che strappano manifesti degli ostaggi negando il diritto di Israele a esistere e quello degli ostaggi a tornare alle loro famiglie.
Qual è il futuro di Gaza?
La popolazione di Gaza è la prima vittima di Hamas. È oppressa da anni da quest’organizzazione terroristica. Israele dovrebbe essere visto per assurdo come il liberatore della popolazione da questo giogo. Sono le stesse persone con cui possiamo costruire una pace nuova.
Qual è la soluzione?
Credo che la soluzione sia la pace e che questa sia inevitabile. Sembrava essere molto vicina con gli Accordi di Abramo firmati tre anni fa e i negoziati tra Israele e l’Arabia Saudita in fase avanzata. La normalizzazione dei rapporti tra Israele e l’Arabia Saudita, principale Paese sunnita del mondo, segnerebbe la fine delle ostilità e indicherebbe una soluzione al problema palestinese. Inoltre, renderebbe Hamas estremamente marginale. Per questo motivo, l’attacco del 7 ottobre è stato compiuto da chi sa di giocarsi la sopravvivenza.
È ottimista al riguardo?
Credo che questi accordi saranno firmati molto presto e il mondo sarà testimone di una nuova era. Israele non ha intenzione di intraprendere strade diverse da queste.