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La passione di Xi per gli “illiberali” europei raccontata da Aust e Geiges

Di Stefan Aust e Adrian Geiges

Pubblichiamo un estratto del libro “Xi Jinping. L’uomo più potente al mondo” (Paesi Edizioni) dei giornalisti tedeschi Stefan Aust e Adrian Geiges, biografia del leader cinese con la storia nascosta della sua vita, dall’infanzia all’ascesa ai vertici del Partito e dello Stato

Mentre Mao [Tse Tung] sosteneva i movimenti maoisti in tutto il mondo, sotto il riformatore Deng Xiaoping si applicò un motto diverso sull’approccio internazionale della Cina: «Nascondere la forza e aspettare il momento giusto». Per Xi Jinping questo momento è arrivato. Da quando è al timone, la Cina non si tira più indietro sulla scena mondiale.

Nella primavera del 2018, 27 dei 28 ambasciatori dell’Ue a Pechino hanno parlato di un «equilibrio di potere ineguale» in un rapporto sulla nuova Via della Seta, dato che la grande Cina negozia accordi nei colloqui bilaterali con i suoi partner più piccoli. Mancava la firma dell’ambasciatore dell’Ungheria, il cui primo ministro Viktor Orbán è già così economicamente dipendente da Xi Jinping da non potersi permettere di criticarlo. Gli altri ambasciatori dell’Ue hanno avvertito che le gare d’appalto per i progetti sulla nuova Via della Seta non sono trasparenti e favoriscono le imprese statali cinesi. Quelle che rispettano gli standard ambientali, lavorativi e sociali europei, non hanno alcuna possibilità.

Un anno dopo, anche la Grecia si è ribellata perché la Cina possiede ormai il porto del Pireo (una dichiarazione congiunta dell’Ue sui diritti umani nella Repubblica Popolare è fallita a causa del veto di Atene). La Cina ha già investito più di sette miliardi di euro in Grecia, creando molti posti di lavoro nel Paese in crisi. La compagnia di navigazione cinese Cosco, di proprietà statale, sta sviluppando il porto del Pireo facendolo diventare il più grande del Mediterraneo.

Una propaggine europea della nuova iniziativa della Via della Seta è il Gruppo 16+1, che la Cina chiama Gruppo 1+16. La Cina ha unito le forze con gli ex Paesi socialisti dell’Europa orientale: Albania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Macedonia, Montenegro, Polonia, Romania, Serbia, Slovacchia e Slovenia. Nel frattempo si è aggiunta anche la Grecia, per cui si è formato un gruppo 1+17.

«Non si dovrebbe accusare i cinesi di avere una strategia geopolitica», ribatte Sigmar Gabriel ai critici. «Ma possiamo essere accusati noi di non averne una. Possiamo farne parte se le condizioni sono trasparenti, se possiamo controllare chi partecipa e a quali condizioni. Inoltre, dovremmo creare un’alternativa in modo che ci sia concorrenza. Non può essere vero che siamo troppo stupidi per finanziare un collegamento ferroviario ad alta velocità tra Belgrado e Budapest che ora stanno realizzando i cinesi».

La Cina accusa giustamente gli Stati Uniti di interferire negli affari di altri Paesi. Ma nel frattempo, la Repubblica Popolare sta anche usando il suo potere economico per punire altri Paesi che non ballano al suo ritmo. Quando la Corea del Sud ha schierato i sistemi di difesa missilistica americani, la Cina ha perseguitato le aziende del Paese e ha limitato il turismo. Poiché il critico del regime di Pechino Liu Xiaobo ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace, il governo ha vietato le importazioni di salmone dalla Corea del Nord. E quando nel 2019 è scoppiato un dibattito critico sull’influenza cinese in Australia, le aziende cinesi hanno smesso di acquistare carbone in quel Paese.

Say Ragul Sauytbay, una gola profonda in relazione ai campi di rieducazione nello Xinjiang, parla anche di «accordi economici e investimenti» con cui il governo cinese ha «comprato la lealtà di altri Paesi e li ha resi dipendenti». Lei stessa ha sperimentato il lungo braccio della Cina nel vicino Kazakistan e vi è stata temporaneamente imprigionata.

Xi Jinping vuole un’influenza globale. «Il PC della Cina e il popolo cinese sono fiduciosi di poter aiutare l’umanità nei suoi sforzi per creare un ordine sociale migliore». Nei suoi primi cinque anni di presidenza, Xi ha visitato 61 Paesi in tutti i continenti del mondo , dalla Russia alle Fiji, dall’Arabia Saudita al Cile. Solo in America Latina ha visitato 12 Paesi, più di quanti ne abbiano visitati i presidenti [Barack] Obama e [Donald] Trump messi insieme.

Non punta a una rivolta mondiale come ai tempi di Mao. Piuttosto, conta su un consenso con i governi conservatori come quelli di Polonia e Ungheria, di cui condivide lo scetticismo per le troppe libertà. Un’internazionale dei nazionalisti, per così dire. Non è un collegamento facile, perché mentre uno dice America First, l’altro intende China First. Questo potrebbe spiegare il rapporto di amore-odio tra Donald Trump e Xi Jinping.

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