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Ecco perché (Cafe) Milano a Washington val bene un Ambrogino d’oro

Il sindaco di Milano premia Franco Nuschese, proprietario del celebre ristorante che è molto più di un ristorante. Leggere per credere

Da 31 anni Franco Nuschese, italiano di Minori (Salerno), accoglie i suoi ospiti al suo Cafe Milano, al civico 3251 di Prospect Street NW di Georgetown, uno dei quartieri più iconici di Washington. Tra loro ci sono stati re e regine, capi di Stato e di governo, diplomatici, politici, giornalisti e lobbisti, uniti dalla passione per la cucina italiana. In cucina c’è l’executive chef Domenico Cornacchia. In carta c’è l’Italia: battuta di tonno, carpaccio di manzo, burrata, vitello tonnato, fiori zucca fritti, parmigiana di melanzane, ma anche i ravioli del plin tipici piemontesi, le costolette di vitello, la milanese e il semplice pollo arrosto. Molti piatti hanno nomi che richiamano la moda milanese degli anni Ottanta. Nella carta dei vini, di una quarantina di pagine, svettano i rosati pugliesi e i moscati piemontesi, il prosecco veneto e i grandi rossi di Toscana. All’interno un’atmosfera cordiale e molto italiana. Nella sala principale il soffitto è decorato con la mappa della metropolitana del capoluogo lombardo.

Tutti i presidenti americani da Bill Clinton in poi, con la sola eccezione di Donald Trump, sono stati suoi ospiti. Il New York Times ha definito il Cafe Milano, per i washingtoniani semplicemente Milano, il “ristorante della Casa Bianca”. Per Page Six è la “seconda mensa della Casa Bianca”. Ogni quattro anni cambiano le amministrazioni ma il Cafe Milano è sempre il ristorante del potere americano. Bipartisan, ovviamente. Ama ripetere Clinton che la differenza tra i politici e Nuschese è che i primi hanno un mandato che scade, quello di Franco non scade mai.

“Quando sono arrivato nel 1991, Washington era un’altra città”, racconta a Formiche.net. “Abbiamo aperto nel giorno della vittoria del democratico Clinton, dopo tre amministrazioni repubblicane”. Era un’altra politica, anche. “Allora”, ricorda, “era molto più facile mettere a tavolo assieme esponenti dei due partiti”.

Per molti Nuschese, che prima di aprire il suo locale nella capitale federale è stato vicepresidente aggiunto per le operazioni in Europa e Medio Oriente per Caesars World Inc, è oggi l’italiano più potente di Washington. Ha una rubrica telefonica da far invidia a molti capi di Stato e di governo. Per l’imprenditore sportivo Ted Leonsis è “il sindaco non ufficiale di Washington”. Gli americani dicono “closing a deal on the golf course”, cioè chiudere un accordo sul campo da golf. La cucina è un po’ il campo da golf per gli italiani, dice Nuschese.

Il segreto? Un ristorante che diventa casa, famiglia. Gli ingredienti sono rispetto per la privacy degli ospiti, ospitalità italiana e ambiente familiare, a cui si aggiunge ovviamente un processo mediatico che spinge chi conta a fargli visita e una buona dose di fortuna, ripete spesso lui. “Se nella vita si fa del proprio meglio, i risultati poi arrivano”, dice.

Nel 2016 ha accolto Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica. A luglio, invece, Giorgia Meloni, presidente del Consiglio. Il primo ministro israeliano Shimon Peres fu ospite quando si negoziavano gli Accordi di Oslo con Yasser Arafat. Papa Benedetto XVI vi ha festeggiato i suoi 81 anni. Sopra la sala delle cene dei capi di Stato abitava Felipe, oggi il re di Spagna, allora studente alla Georgetown. “Straordinario” è il giudizio di Nuschese su Mohamed bin Zayed Al Nahyan, il presidente degli Emirati Arabi Uniti.

È nel board of directors dell’Atlantic Council, uno dei think tank più quotati di Washington. È anche commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica italiana per aver contribuito all’immagine positiva degli italiani all’estero. Nel 2016 ha inaugurato una seconda sede del Cafe Milano al Four Seasons di Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti.

E da Abu Dhabi, dove si tiene la Cop28, è arrivato in questi giorni a Milano. E oggi riceve l’Ambrogino d’oro, l’onorificenza conferita dal Comune guidato da Beppe Sala nel giorno del santo patrono, Sant’Ambrogio.

“Sono onorato”, dice. Ma aggiunge con un po’ della sua nota autoironia che “lavessi saputo prima, probabilmente non l’avrei chiamato così. Vivevo a Milano alla fine degli anni Ottanta e la mia idea era quella di unire moda e cucina in un’atmosfera informale”, spiega. “Ma nessuna delle due parole, né Cafe né Milano, si possono registrare. È stato un errore. Alla fine abbiamo registrato il logo ma è stato un prezzo pagato molto caro”, conclude.



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