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Rileggere il codice Camaldoli, la strada per i popolari secondo Chiapello

Di Giancarlo Chiapello

Il documento col titolo specifico “Per la comunità cristiana. Principi dell’ordinamento sociale a cura di un gruppo di studiosi amici di Camaldoli” ha un impianto che ha profondamente influenzato i costituenti democratico-cristiani e quindi ha contribuito a forgiare la Costituzione della Repubblica Italiana. L’opinione di Giancarlo Chiapello, segreteria nazionale Popolari/Italia Popolare

La pace può essere utilizzata per cercare di dare un segnale di stato in vita di indipendenti di sinistra molti dei quali un tempo provenienti anche dalle fila democratico cristiane e del Ppi e adesso, dopo aver contribuito a chiudere quelle esperienze con concetti rivelatisi fallimentari come contaminazione culturale, partito plurale, ecc., sono parte del progressismo aderendo al Pse, un partito europeo dalla matrice culturale ormai transumanista e dalla visione internazionale poi neanche troppo distante da destra?

Di fronte al moltiplicarsi di convegni di vecchi post Dc, normalmente in forte aumento all’approssimarsi di elezioni e in particolare di quelli ascrivibili al gramsciano “cattolicismo democratico” viene in mente una battuta di Groucho Marx (un cognome che aiuta a rimanere nella loro confort zone): “La politica è l’arte di cercare un problema, trovarlo, interpretarlo male e poi applicare erroneamente il rimedio sbagliato”. Questo incipit polemico che nasce naturalmente dal fatto che a differenza di queste persone, che certamente hanno costruito lecite salvezze individuali, esiste un popolo, oggi ancora sparso, legato all’autonoma identità democratico cristiana, al miglior pensiero di cattolici che è il popolarismo e che non può essere svilito a servizio di rivoluzioni altrui, che ha conservato il seme della coerenza, basti solo citare l’azione politica di Alberto Monticone, serve ad introdurre una necessaria riflessione per non seguire queste persone in un errore culturale e politico, senza soffermarsi ulteriormente sulla profonda distanza tra popolarismo e progressisti.

La premessa e la conclusione possono essere individuate nella fedeltà dei Popolari alla direzione indicata da Papa Francesco nel suo messaggio al gruppo parlamentare del Partito Popolare Europeo, in cui si torna a parlare di unità, leggendolo insieme ai suoi interventi fatti in Ungheria e dinanzi alle autorità civili a Lisbona in occasione della Giornata Mondiale dei Giovani: qui si comprende, tra l’altro, la differenza tra operatori di pace e pacifismo ideologico, parte di un impasto che piace al mainstrem ma che è altra cosa dal ricucire sapientemente il filo con la tradizione di politica estera italiana impostata da Aldo Moro, Mattei, Fanfani, da tutta la Dc, come afferma il prof. Gennaro Salzano, autore di un bel testo: “Un costruttore di pace. Il Mediterraneo e la Palestina nella politica estera di Aldo Moro” e che è stato protagonista di azioni di pace e della costruzione del ruolo italiano nel Mediterraneo e in Europa.

Il contenuto è l’idea lanciata dall’ex mnistro Graziano Delrio, autore di una riforma delle provincie che ha contribuito a limitare rappresentanza e partecipazione democratica, di una “Camaldoli europea” fatta dalle colonne di Avvenire: riprendere a fare cultura è corretto, se questo non diventa il solito alibi del prepolitico visto da trent’anni e che ha determinato disimpegno, collateralismi che hanno nascosto infiltrazioni ideoligiche, scuse per l’errore della diaspora, ma occorre essere molto chiari e molto fedeli al modello.

Innanzitutto serve evitare, prendendo ad esempio quanto fatto da certi interpreti post conciliari, che testi, storia, identità, ispirazione reali vengano rimodellati attraverso una sorta di postumo “spirito di Camaldoli” a cui si rischia di fare dire tutto ed il contrario di tutto. Per questo serve formalmente riandare al titolo stesso di quel testo eleaborato nel 1943 presso il monastero benedettino in cui si riunirono, guidati da mons. Adriano Bernareggi, assistente ecclesiastico dei laureati dell’Azione Cattolica, intellettuali, laici e religiosi, cattolici che ripresero l’esperienza storica del Codice di Malines.

Il testo, la cui messa nero su bianco fu affidata a Sergio Paronetto, Pasquale Saraceno, Ezio Vanoni, Giuseppe Capograssi, compone il documento col titolo specifico “Per la comunità cristiana. Principi dell’ordinamento sociale a cura di un gruppo di studiosi amici di Camaldoli”. Se andiamo a guardare al suo indice possiamo facilmente comprendere un impianto che ha profondamente influenzato i costituenti democratico-cristiani e quindi ha contribuito a forgiare la Costituzione della Repubblica Italiana: Premesse sul fondamento spirituale della vita sociale; lo Stato; la Famiglia; l’Educazione; il Lavoro; Produzione e Scambio; Attività economica; Vita internazionale.

Si potrebbe fare uno specifico approfondimento su ogni capitolo o ragionare sull’influenza dell’appello ad una “nuova cristianità” di Jacques Maritain o leggerlo organicamente insieme ad altri chiari coevi testi come quelli di De Gasperi e Malvestiti o al Manifesto del movimento Democratico Cristiano di Dossetti, ma fa al caso nostro soffermarci sulle premesse: qui si trova l’elemento centrale e fondamentale e qui si radica la differenza o l’errore che fa Delrio.

Il Testo “Per la comunità cristiana” ha un’ispirazione definita, rappresenta un contributo evidente di cattolici appartenenti ad un chiaro filone culturale e politico, non può essere liquefatto perché non lo era ed infatti anche grazie alla forza della radice spirituale in cui si radicava è stato influente. Se si volesse fare una proposta vera, non schiacciata nelle nicchie della conservazione a destra e sinistra, allora occorrerebbe richiamare cattolici popolari e democratici cristiani ad uscirne, almeno i ravveduti e ad un lavoro “Per la comunità cristiana europea” e porre come punti di innesco i testi citati del pontefice e la considerazione che il mancato inserimento da parte dell’Europa delle sue radici profonde e di popolo nei documenti fondativi la stanno schiacciando sempre più nella dimensione di un nano politico in difficoltà a confrontarsi col resto del mondo che rivendica identità forti. Poi ci si può aprire al confronto con le altre, diverse, culture politiche, esattamente seguendo la strada fatta dal “Codice di Camaldoli”. Sul punto il Ppe e le istituzioni culturali ad esso collegate possono assumere un importante ruolo strategico per la Comune Casa Europa. C’è ancora un ma finale: ma siamo capaci di essere fedeli al richiamo all’unità del papa?

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