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Più gas per limitare il carbone. Tabarelli analizza la dura realtà oltre la Cop

Si sta facendo strada la comprensione della realtà, una realtà cruda e amara che vede i cattivi fossili dominanti e le rinnovabili annaspare, nonostante i grandi sussidi che ricevono e nonostante le forti riduzione dei costi. L’intervento di Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia

Non è vero che i petrolieri fanno solo lavaggio verde, green washing, perché sui fossili stanno facendo una tale quantità di soldi che se lo possono ben permettere di fare le cose seriamente.

Vale per i Paesi produttori dell’Opec, in prima fila gli Emirati Arabi Uniti che hanno organizzato a Dubai la Conferenza delle parti, la Cop numero 28. Per chi ha avuto il piacere, e la fortuna, di parteciparvi saprà che è più una fiera, una sorta di festa, più che un congresso scientifico.

Esattamente 20 anni fa in questi giorni si svolgeva a Milano, verso Rho, ed ebbe il positivo effetto di far lievitare l’idea dell’Expo del 2015, quello vinto e realizzato con successo dalla capitale del Nord. Difficile trovare altri aspetti positivi, perché da allora le cose non sono migliorate molto.

Le emissioni di CO2 di origine antropica per consumo di fossili sono salite di un 30% ad un nuovo massimo che quest’anno si collocherà intorno ai 33 miliardi di tonnellate di CO2, 10 miliardi in più dei valori della Cop di Milano. I consumi di carbone, il singolo principale responsabile delle emissioni, nel 2023 raggiungerà un nuovo picco di consumi a oltre 8 miliardi di tonnellate, mentre in Italia si festeggia il calo a 15 milioni di tonnellate.

La quota del carbone sui consumi mondiali di energia è ferma al 26%, secondo solo al petrolio, fermo al 30% e prima del gas, in leggera crescita sopra il 24%. Complessivamente i fossili contano sempre per l’80% del totale della domanda mondiale di energia,  oggi come 20 anni fa, domanda che sale, perché cresce il Pil mondiale e il disaccoppiamento fra i due è ancora una teoria, lontana dalla realtà. Sono peggiorate le cose nei rapporti fra Paesi ricchi e Paesi poveri, i primi che fanno orecchie da mercante alle proteste dei secondi, delusi dalle mancate promesse circa i 100 miliardi di dollari all’anno per affrontare i mari che presto si alzeranno, anzi che si sono già alzati.

Nel frattempo è stato trovato un accordo per un fondo da 400 milioni, di cui l’Italia ne ha già messi 100, per andare in loro aiuto. Difficile resistere alla tentazione di chiamarli la solita carità che i ricchi fanno ai poveri per finanziare qualche progetto esotico. La debolezza delle politiche dei ricchi è chiara, anche dal fatto che gli Usa continuano ad entrare ed uscire con i loro presidenti, adesso Biden è rientrato, ma con Trump, probabile presidente, torneranno fuori, un’alternanza simile a quella di Bush e Clinton.

Fra i ricchi mettiamo anche i cinesi, che sono i più preoccupati a prendersi degli impegni, perché sanno che senza carbone il loro futuro, oltre al loro presente, non sarebbe possibile. Il 70% della loro produzione di elettricità viene da carbone e loro sono la conferma che l’uscita dalla povertà energetica di 3 miliardi di persone non sarà possibile senza carbone.

Dispiace vedere gli africani che continuano a chiedere fondi, spesso ad elemosinare, mentre dovrebbero cancellare l’impegno preso a Glasgow nel 2021, alla Cop19, di bloccare i finanziamenti esteri a centrali a carbone nei paesi poveri. Fra questi ci sarebbero appunto quelli dell’Africa, che non hanno energia elettrica. I consumi pro-capite africani sono una cosa scandalosa, vergognosa per i Paesi ricchi che se la spassano a Dubai a dare indicazioni su come rispettare l’ambiente. Un africano subsahariano consuma in un anno 180 chilowattora, 30 volte meno di un europeo e 40 volte in meno di un americano. L’asciugacapelli di un italiano consuma più elettricità di un povero in Africa. Una rispetto a Milano 2003 è l’ostilità degli ambientalisti a questi eventi, non solo l’ultimo perché organizzato dai petrolieri, ma anche per l’inconcludenza delle decisioni sempre orientate a promesse e a lontani obiettivi di difficile implementazione.

In sostanza si sta facendo strada la comprensione della realtà, una realtà cruda e amara che vede i cattivi fossili dominanti e le rinnovabili annaspare, nonostante i grandi sussidi che ricevono e nonostante le forti riduzione dei costi. Si è accusato il primo ministro di Dubai di firmare contratti del gas il giorno dell’inaugurazione, certamente un comportamento poco elegante, ma da quei mercati non era difficile prevederlo. Ma sia chiaro che il mondo nell’immediato ha bisogno di più gas per cercare di limitare la costante crescita del carbone nella produzione elettrica, quell’elettricità che a milioni di poveri manca ancora, in maniera scandalosa e inumana.

 



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