Al Partito democratico l’anno nuovo porterà una ulteriore grana, quella delle comunali. Nel 2024, infatti, andranno al voto ben 27 capoluoghi, e in alcuni di questi – citando l’immortale Ennio Flaiano – la situazione si presenta già “grave ma non seria”. L’approfondimento di Angelo Ciardullo
Ok è quasi Natale e siamo quasi tutti più buoni. Ok, oggi si inaugura la mostra su Enrico Berlinguer all’ex Mattatoio di Testaccio e lasciamo spazio all’operazione nostalgia. Ok, ci sono altri pensieri più impellenti come le regionali e le europee, visto che su manovra e Mes non si tocca palla. Duole però ricordare al Partito democratico che l’anno nuovo porterà una ulteriore grana, quella delle comunali. Nel 2024, infatti, andranno al voto ben 27 capoluoghi, e in alcuni di questi – citando l’immortale Ennio Flaiano – la situazione si presenta già “grave ma non seria”.
A cominciare da Firenze, di cui abbiamo ampiamente parlato. A una settimana dal lancio della candidatura della vicepresidente della giunta regionale Stefania Saccardi da parte del machiavellico Renzi, nulla è cambiato: i dem restano seduti sulla riva del Lungarno in attesa che passi il cadavere del nemico e confermano la volontà di riunire il centrosinistra attorno alla figura dell’assessora al Welfare Sara Funaro, mentre i Cinque Stelle nicchiano sull’ipotesi Tomaso Montanari. Sullo sfondo, la mina vagante Cecilia Del Re – ex assessora all’Urbanistica che si è vista negare le primarie – pronta a vendicare il torto subito dal suo quasi ex partito.
A destra, intanto, con tutta calma, Eike Schmidt aspetta il 20 dicembre per svuotare il suo ufficio agli Uffizi e ufficializzare la candidatura alla corsa per Palazzo Vecchio. Una corsa che potrebbe rivelarsi – per la prima volta nella storia repubblicana – clamorosamente vittoriosa per il centrodestra. E attenzione, perché dalla trattativa fiorentina tra Pd e Italia Viva può dipendere anche l’esito del voto negli altri due capoluoghi toscani chiamati alle urne, Livorno e Prato.
Poi c’è Bari, oasi democratica che potrebbe tramutarsi in giungla. Se esistesse la possibilità di un terzo mandato, Antonio Decaro – presidentissimo Anci e amatissimo sindaco – vincerebbe con percentuali che farebbero impallidire il più cereo dei bulgari. Ma questo non è possibile, così Decaro si prepara a fare la valigia per Bruxelles, dove probabilmente lo raggiugeranno altri due sindaci dem uscenti: Giorgio Gori da Bergamo e Dario Nardella da Firenze. Per il capoluogo pugliese serve dunque un nome nuovo. Stando a quanto si legge sui giornali, le candidature iniziano a fioccare come la neve che raramente si vede su quelle latitudini. Il Pd ha già calato le sue tre carte – gli assessori uscenti Pietro Petruzzelli e Paola Romano e il deputato Marco Lacarra – ma Sinistra Italiana, M5S e Italia Viva continuano a tenere il punto su Michele Laforgia, figlio dell’ex sindaco e senatore pidiessino Pietro. I ferri sono già cortissimi: vedremo se il lavoro dei pontieri Emiliano e Vendola servirà a scongiurare il peggio.
Rotolando verso sud c’è poi Reggio Calabria dove – in linea teorica – non si voterà prima della primavera 2026. Tuttavia, la maretta che si registra sulla sponda calabrese dello Stretto fa già temere il peggio. Nel capoluogo reggino il Pd non ha fatto neanche in tempo a festeggiare l’assoluzione del sindaco Giuseppe Falcomatà (altro figlio d’arte) nel processo Miramare che si è subito creato uno stallo alla messicana (o alla calabrese, il gradiente di piccantezza è comunque elevato) sulla composizione della nuova giunta. Da un lato il redento Falcomatà – intenzionato ad azzerare la giunta di Palazzo San Giorgio salvando in pratica il solo Paolo Brunetti, facente funzioni in sua assenza – dall’altra la maggioranza del partito, ferma nella volontà di riconfermare in blocco i suoi quattro assessori, cinque consiglieri e il presidente del consiglio comunale e congedare lo sventurato Brunetti. Nessuno fa un passo indietro ma nessuno vuole andare al voto anticipato. Oggi, intanto, Falcomatà vedrà il senatore e segretario regionale Nicola Irto di ritorno da Roma per tentare di risolvere l’annoso grattacapo: nell’Aula Battaglia (nomen omen) si preannuncia un duro scontro.
Dopo il sud, come insegnava Guido Caroselli, le Isole. In Sardegna la partita di Cagliari (l’altro capoluogo al voto è Sassari) si lega a doppio filo con quella delle regionali. Se, come probabile, il sindaco di Fratelli d’Italia Paolo Truzzu dovesse rinunciare alla corsa per Villa Devoto e puntare al secondo mandato, a tentare di insidiare la sua poltrona potrebbe addirittura tornare in campo il grande ex Massimo Zedda, protagonista dieci anni fa della gloriosa “rivoluzione arancione” che portò Giuliano Pisapia a Palazzo Marino e Luigi De Magistris a Palazzo San Giacomo. E tuttavia, considerando che sulla querelle regionali spira da destra e da sinistra un forte maestrale, occorrerà attendere ancora qualche settimana per provare a capire qualcosa di più. Nel frattempo, il governatore uscente (e rientrante?) Christian Solinas ha annunciato che le consultazioni per la Regione si terranno il 25 febbraio o il 3 marzo.
Interrompiamo qui per il momento il nostro “viaggio in Italia” di pioveniana memoria. Lasciamo a Elly Schlein il tempo di visitare l’esposizione sul compianto predecessore Berlinguer e anche quello di archiviare la contro-Atreju organizzata per oggi e domani ai Tiburtina Studios per fare il punto sull’”Europa che vogliamo” (spoiler: sociale, verde e giusta). Però, Elly, te lo diciamo con Troisi e Benigni: ricordati che devi votare. Altrimenti, non ci resta che piangere.