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La cinese Huawei investe in Francia. Ecco come (e perché)

Un investimento da 200 milioni di euro per il primo stabilimento nel Vecchio continente: il colosso tecnologico cinese sceglie Brumath, nel Grande Est, a una ventina di chilometri dal Parlamento europeo di Strasburgo. Una mossa di resilienza e non è l’unica (ma gli Usa sono scettici)

Il colosso tecnologico cinese Huawei ha scelto la Francia per costruire la sua fabbrica in Europa. L’impianto sarà realizzato a Brumath, nel Grande Est, a una ventina di chilometri da Strasburgo, che ospita una delle due sedi del Parlamento europeo. L’investimento per il cantiere ammonterà a 200 milioni di euro. I lavori inizieranno il prossimo anno e il sito dovrebbe aprire nel 2025. L’avvio del cantiere era inizialmente fissato per il 2020 ma poi è stato posticipato a causa della pandemia Covid-19.

Il progetto s’inserisce nel quadro delle tensioni tra la Cina da una parte e gli Stati Uniti e l’Unione europea dall’altra (seppur con divergenze di vedute). Quest’ultima sta adottando una politica di riduzione del rischio con l’obiettivo di limitare la dipendenza dal Paese asiatico. La Commissione europea ritiene inoltre che i fornitori cinesi di apparecchiature per telecomunicazioni Huawei e Zte, accusati di spionaggio dagli Stati Uniti e da alcuni Paesi alleati, siano un rischio per la sicurezza del blocco. Lo scorso giugno, il commissario per il mercato interno Thierry Breton ha invitato i 27 Stati membri e gli operatori di telecomunicazioni a escludere queste apparecchiature dalle loro reti mobili.

Il South China Morning Post, che ha rivelato i piani di Huawei, ha ricordato anche come nel 2020 il governo francese avesse comunicato agli operatori di telecomunicazioni che intendevano acquistare apparecchiature 5G di Huawei che non avrebbero potuto rinnovare le licenze per tali apparecchiature una volta scadute. Ciò avrebbe portato di fatto alla rimozione di Huawei dalle reti mobili francesi. Tuttavia, dopo un incontro con il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire a Pechino a luglio, il vicepremier cinese He Lifeng ha annunciato che la Francia ha deciso di estendere le licenze 5G di Huawei in alcune città.

La mossa di Huawei è all’insegna della resilienza. Così come altre due. La prima: il lancio in uno dei grattacieli più iconici di Dubai, negli Emirati Arabi Uniti (Paese con un sempre maggior feeling con la Cina e con il colosso delle tecnologie), dei tre nuovi prodotti (un pc, un tablet e degli auricolari). La seconda: la promessa fatta nei giorni scorsi da Richard Yu, amministratore delegato di Huawei Consumer Business Group, per nuovi dispositivi (non specificati) che verranno presentati l’anno prossimo e riscriveranno “la storia dell’industria tech”. Tutto lascia pensare a qualcosa di simile allo smartphone Mate 60, lanciato nei mesi scorsi, dotato di un chip (il Kirin 9000s a 7 nanometri, prodotto dall’azienda cinese Smic) che sarebbe il simbolo delle capacità del colosso di lavorare nonostante le sanzioni statunitensi. Non a caso è stato messo in vendita mentre il segretario al Commercio statunitense Gina Raimondo era in visita in Cina.

Ma gli Stati Uniti sembrano scettici. “Né le prestazioni né i risultati possono essere all’altezza del mercato del dispositivo”, ha dichiarato Thea Kendler, assistente segretario per le esportazioni al dipartimento del Commercio, in audizione al Congresso. “Inoltre, il chip semiconduttore che si trova all’interno del telefono ha prestazioni inferiori a quelle di anni fa”, ha dichiarato la funzionaria. “Quindi i nostri controlli sulle esportazioni sono efficaci nel rallentare l’acquisizione di tecnologia avanzata da parte della Cina”.

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