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La “bamboo diplomacy” mette Hanoi al centro dell’Indo-Pacifico

Di Lorenzo Piccioli e Emanuele Rossi

L’intensa attività diplomatica di Hanoi ha portato il Vietnam ad avvicinarsi a molti dei principali attori dello scenario indo-pacifico. Mantenendo però una postura neutrale ed equidistante, così da massimizzare i propri benefici. Da Biden a Xi, perché tutti cercano Hanoi?

Il Vietnam è sempre più al centro dell’Indo-Pacifico, e non solo geograficamente. L’azione diplomatica di Hanoi si è strutturata all’insegna dell’equilibrio e dell’equidistanza, sviluppando le proprie relazioni con attori afferenti a blocchi diversi, se non rivali. E nel contesto della competizione tra le potenze regionali e globali, l’importanza del Vietnam come nodo cruciale all’interno dell’Indo-Pacifico si accresce sempre di più.

Il significato delle parole

Non a caso, pochi giorni fa Xi Jinping in persona si è recato in visita ad Hanoi, dove è stato accolto con il massimo degli onori, per una visita che mancava da sei anni. Il risultato più concreto è il rafforzamento della cooperazione in materia di sicurezza per un percorso per diventare “una comunità con un futuro condiviso”. Il significato strategico è pronto: il Vietnam è l’ottavo Paese che accetta questa direttrice comune con la Cina nel Sud-est asiatico, dopo Laos, Cambogia, Myanmar, Thailandia, Brunei, Malesia e Indonesia.

Considerando che, per ragioni diverse, né Singapore tanto meno le Filippine accetteranno di essere inclusi, Pechino incassa comunque un forte sostegno dai membri dell’Asean – otto su dieci – e l’associazione rischia di diventare sempre più irrilevante. La comunità con un futuro condiviso potrebbe sostituire il dibattito dell’associazione e essere usata da Pechino come ambiente in cui promuovere le rivendicazioni sul Mar Cinese Meridionale? Da notare che la terminologia è simmetrica “a comunità di destino comune”, cambia esclusivamente l’inglesizzazione a cui Pechino tiene per evitare connotazione negative del termine “destino comune”, come fa notare Alex Vuving dell’Apcss di Honolulu (qualcosa di simile ha riguardato l’internazionalizzazione di “One Belt, One Road” in “Belt and Road Initiative”).

La strategia delle “comunità con un futuro condiviso” della Cina varia nel sudest asiatico, con un impegno più elevato da parte di Cambogia e Laos, ma meno marcato in Thailandia, Brunei, Indonesia, Malaysia e soprattutto Vietnam. Hanoi ha accettato di “costruire” una comunità condivisa con la Cina, ma ha introdotto specifiche basate sulla Carta delle Nazioni Unite e il diritto internazionale, riflettendo la sua tradizione millenaria di trattare con la Cina in modo che esprima sfida entro i limiti del rispetto. La questione dibattuta è se questa tradizione secolare aiuterà il Vietnam nel XXI secolo, considerando i cambiamenti sostanziali nelle condizioni attuali.

Oltre la narrazione

I rapporti tra Hanoi e Pechino sono infatti molto ambigui, e se da una parte vedono una forte vicinanza nell’aspetto economico, il lato securitario ha per esempio visto scontrarsi le posizioni dei due attori da sempre. Non a caso l’ultima guerra combattuta dalla People Liberation Army è stata proprio contro il Vietnam, nel 1979. E ancora oggi permangono dispute tra i due Paesi sul bacino marittimo noto a Pechino come Mar Cinese Meridionale e come Mar Orientale ad Hanoi, assimilabili a quelle in corso con le Filippine, ma moderate per ora dalla comune appartenenza alla famiglia socialista e da una ancora sostanziale apertura al dialogo da parte dei vietnamiti (svanita per buona parte nella sfiducia dei filippini).

A settembre, il Vietnam ha ospitato il leader della potenza rivale di Pechino. Joe Biden si era recato in Vietnam per consacrare la nascita di una nuova “comprehensive strategic partnership” tra i due Paesi, accompagnata da una serie di accordi incentrata sui semiconduttori. La formula della comprehensive strategic partnership indica il più alto grado di cooperazione che gli Usa possono stabilire con altri attori non alleati. E lo stesso vale per il Vietnam. All’insegna di quella che il Segretario del Partito Comunista vietnamita Nguyen Phu Trong definisce la “diplomazia del bamboo”, ovvero un approccio flessibile e aperto al dialogo con tutti gli attori che hanno interessi comuni con Hanoi, non condizionato da visioni ideologiche e schieramenti di sorta. Per mano a Xi nelle foto di questi giorni, abbracciato a Biden tre mesi fa.

Partnership multi-allineate

Ma le due superpotenze globali non sono gli unici casi in cui il Vietnam ha cercato un ravvicinamento diplomatico. Una comprehensive strategic partnership era già stata stabilita anche con la Federazione Russa, in occasione del terzo forum sulla Via della Seta a cui hanno partecipato sia Vladimir Putin che Nguyen Phu Trong. Il fine era un tentativo di rilanciare una collaborazione tra i due Paesi che ha radici negli anni passati: fino al febbraio del 2022, Mosca rappresentava infatti il più grande fornitore di materiale militare per Hanoi; tuttavia, dopo l’invasione dell’Ucraina il Vietnam ha cercato di diversificare la propria supply chain anche nel settore della difesa.

Parallelamente, Hanoi ha cercato opportunità di partnership anche all’interno del blocco occidentale. Come nel caso della Corea del Sud, che beneficia a sua volta di una comprehensive strategic partnership siglata nel Dicembre del 2022 (ben prima degli Stati Uniti), tanto per motivi economici quanto per questioni securitarie. Seul è infatti una dei principali fornitori di materiale militare verso cui si è rivolto il Vietnam nel già citato processo di diversificazione della Difesa. Mentre nel novembre di quest’anno a far parte di questo gruppo ristretto di privilegiati è entrato anche il Giappone, Paese con cui il Vietnam condivide orizzonti in settori chiave come politica, difesa, sicurezza, ed economia. E anche l’Australia sembra un candidato promettente per essere ammesso nella “ristretta cerchia vietnamita”.

Una visione trasversale ai blocchi, quella di Hanoi, che gli permette di capitalizzare al massimo i benefici della cooperazione con singoli Paesi in settori specifici. Inserendosi proprio all’interno delle rivalità esistenti tra questi attori. “La Cina vede la rivalità degli Stati Uniti e quindi deve contrastare”, è il commento che Carlyle Thayer, professore emerito presso l’Università del Nuovo Galles del Sud ed esperto di Vietnam, rilascia al Wall Street Journal in occasione del tour di Xi in territorio vietnamita “Il Vietnam cerca di ottenere il più possibile da ciascuno di essi”. E il mondo del business sembra premiare questa postura, come dimostrano le recenti scelte di Apple.

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