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La sinistra sociale e quella riflessione di Marini

Come e perché è necessario mettere in campo una ricetta politica, cioè una cultura politica, che sappia trarre dalla crisi sociale la spinta per elaborare una nuova fase di progettualità accompagnata da una spiccata cultura di governo. La riflessione di Giorgio Merlo

Nel gennaio del 2017 intervenendo alla presentazione di un mio libro sulla storia piemontese della sinistra Dc di Forze Nuove all’Istituto Sturzo, Franco Marini ebbe modo di esprimere qualche riflessione sulla esperienza della sinistra sociale di ispirazione cristiana. Una esperienza, come molti sanno, che ha contribuito a segnare la presenza stessa della Democrazia cristiana e dei cattolici impegnati in politica. Una corrente, o una componente o un’area espressione di quel cattolicesimo sociale che ha accompagnato e qualificato l’intera storia del cattolicesimo politico italiano.

Una storia che, purtroppo, dopo la fine della Dc e di alcuni partiti che si sono succeduti al “partito italiano” per eccellenza, si è progressivamente indebolita e dispersa. Certo, ha contribuito a tutto ciò anche e soprattutto l’assenza di leader carismatici e autorevoli come Carlo DonatCattin o Franco Marini o Sandro Fontana che, attraverso la loro testimonianza politica concreta e la loro militanza coerente e leale, hanno saputo incidere profondamente nel partito di appartenenza e nella intera politica nazionale. Ora, per tornare a Franco Marini e a quella sua riflessione sulla sinistra sociale all’interno del Pd dell’epoca e seppur prendendo atto del profondo cambiamento del contesto politico rispetto quella fase, anche se sono trascorsi solo pochi anni, l’ex leader della Cisl sostenne in quella occasione che “nel Pd non c’è più traccia della esperienza e della storia della sinistra sociale. O meglio, si deve prendere atto che si tratta di una realtà che non è più organizzata anche se nella società più in generale la storia e il pensiero del cattolicesimo sociale continuano ad essere molto presenti, radicati e anche moderni”.

Ecco, sono passati appunto appena 7 anni da quella riflessione e la situazione non è mutata affatto per quanto riguarda la presenza attiva della sinistra sociale. Ma, nel frattempo, non possiamo anche sottovalutare che è cresciuta la consapevolezza che quella cultura politica, quella esperienza e quel pensiero non possono continuare ad essere archiviati e quindi assenti dalla cittadella politica italiana contemporanea. E questo non per una “operazione nostalgia” che in politica non è mai un valore, ma per la semplice ragione che di fronte ad una nuova e dirompente “questione sociale” non può non esserci la presenza di un presidio politico che, seppur con altri, può dare una risposta qualificata e autorevole.

Una presenza politica, però, che non può ridursi ad una sorta di mobilio da esporre per le grandi occasioni e i grandi eventi. Perchè una esperienza come quella della sinistra sociale, pur se disorganizzata come diceva giustamente Franco Marini già qualche anno fa, ha un senso ed un significato solo se è in grado di giocare un ruolo politico determinante e incisivo all’interno di un partito. E, pur non essendoci eredi diretti, è indubbio che esiste ancora una grande e straordinaria eredità politica, culturale e sociale che non può andare dispersa. Soprattutto quando si è in una situazione dove crescono in modo esponenziale le disuguaglianze sociali, la povertà, la disoccupazione, l’emarginazione sociale e, purtroppo, la crisi della speranza e quindi di futuro nelle giovani generazioni.

Del resto, la risposta com’è altrettanto ovvio, non può essere quella fornita dal populismo assistenzialista dei 5 Stelle o della sinistra pauperista in versione Schlein o, sul versante opposto, di una destra sociale sempre più opaca e priva di identità. È necessario, quindi, mettere in campo una ricetta politica, cioè una cultura politica, che sappia trarre dalla crisi sociale la spinta per elaborare una nuova fase di progettualità accompagnata da una spiccata cultura di governo. Per questi semplici motivi è arrivato il momento per fare un salto di qualità, al di là delle prediche moralistiche e pseudo accademiche sulla presenza politica dei cattolici italiani. Soprattutto da parte di tutti coloro che ritengono che il pensiero, la tradizione e la cultura del cattolicesimo sociale non sono affatto tramontati nè archiviati dalla storia.



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