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La storia della Dc spiega (anche) le prossime europee. Giovagnoli spiega come

È stato il più importante partito della prima fase della storia repubblicana. È una stagione che non può tornare. Ma questa lunga parentesi ci ha lasciato lezioni storiche ancora attuali. L’analisi di Agostino Giovagnoli, professore di Storia della storiografia contemporanea presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore

1943-2023: ottant’anni dalla fondazione della Democrazia cristiana. È stato il più importante partito della prima fase della storia repubblicana e la sua scomparsa è uno dei motivi per cui non è infondato parlare di fine della Prima repubblica. Anche se nei primi anni Novanta non c’è stato un significativo cambiamento della Costituzione italiana, è però finita allora quella “democrazia dei partiti” che ha alimentato per cinquant’anni una costituzione materiale non meno importante di quella scritta.

È una stagione che non può tornare. Ma questa lunga parentesi, all’interno della storia d’Italia dall’Unità a oggi, ci ha lasciato lezioni storiche ancora attuali. La Dc è stato un partito complesso, multiforme, contraddittorio, con luci e ombre. Qui vorrei richiamarne solo un aspetto: la Dc – insieme agli altri partiti democratici – quale parte della risposta italiana ai totalitarismi novecenteschi, le cui eredità vediamo inaspettatamente proiettarsi anche sul XXI secolo. Sin dalla fondazione la Democrazia cristiana è stata anticomunista, anche se tale anticomunismo si è declinato in modi molto diversi nelle varie fasi della sua storia. Meno noto è invece il ruolo che ha avuto l’antifascismo per la Dc.

Il peso dell’eredità fascista è stato molto forte nell’Italia del dopoguerra. Si è parlato spesso di “egemonia culturale comunista” in Italia, ma l’espressione va usata con cautela e in ogni caso si tratta di tendenze che si sono affermate solo più tardi. Per i primi decenni repubblicani, se di egemonia culturale si vuole parlare, sarebbe più appropriato parlare di un’egemonia culturale di destra, sia a livello di classe dirigente non politica – magistratura, università e scuola, amministrazione pubblica, esercito – sia, soprattutto, nella “pancia” del Paese. Anche la Dc è stata a lungo condizionata da tale influenza. Gran parte dei suoi elettori aveva accettato il fascismo, pur senza sposarne le posizioni più estreme, e l’influenza del fascismo è stata molto più interna alla Dc di quanto lo sia stata quella comunista.

Per questo l’antifascismo della Democrazia cristiana è stato più cauto e meno esplicito del suo anticomunismo. Ma non meno importante. Mantenendo la pregiudiziale antifascista, infatti, il suo gruppo dirigente ha introdotto una discriminante cruciale in settori molto vasti della società italiana, in cui tradizioni cattoliche ed eredità non democratiche hanno continuato lungamente a compenetrarsi. A partire da De Gasperi, la Dc non si è mai alleata a livello nazionale con partiti neofascisti e quando i voti missini sono stati determinanti per il governo – come nel caso Tambroni – il partito ha preso le distanze. Con la segreteria Moro, inoltre, la Dc ha assunto in modo esplicito un antifascismo morale prima che politico – che comprendeva anche una condanna dell’antisemitismo e del razzismo – e ciò le ha permesso negli anni Settanta di prendere chiaramente posizione contro la strategia della tensione. La Dc è diventata così il cardine dell’intero sistema politico e ha contribuito in modo importante a far crescere la democrazia italiana nel rifiuto della violenza quale strumento politico.

Nella Seconda repubblica, la discriminante antifascista è andata progressivamente declinando nel dibattito pubblico italiano fino ad apparire politicamente irrilevante. È accaduto anche altrove. Ma il rifiuto del fascismo non riguarda solo il passato. Seppure in modo implicito, ad esempio, la questione svolge un ruolo nel dibattito sulle prossime elezioni europee. La sconfitta elettorale di Vox in Spagna e del Pis in Polonia ha reso più difficile uno spostamento dell’asse politico europeo verso l’estrema destra, in precedenza considerato possibile da una parte del Partito popolare europeo che pure si richiama indirettamente all’eredità democristiana post-bellica.

Ciò significa non solo maggior fermezza verso chi evoca il nazifascismo – come Afd in Germania – ma anche rafforzamento dello Stato di diritto, dei principi liberali e della democrazia in Europa.

(Rivista Formiche 197)


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