Skip to main content

Promessa mantenuta. Meloni porta l’Italia fuori dalla Via della Seta

Tre giorni fa è stata consegnata la nota verbale per comunicare l’uscita dalla Belt and Road Initiative. Come promesso un anno fa in campagna elettorale dalla presidente del Consiglio in campagna elettorale

Tre giorni fa l’Italia ha consegnato alla Cina la nota verbale con cui ha annunciato l’uscita dalla Belt and Road Initiative, il progetto infrastrutturale lanciato dieci anni fa dal leader Xi Jinping. A rivelarlo è il Corriere della Sera, che evidenzia come la mossa sia avvenuta “senza comunicare nulla pubblicamente, come d’intesa con le autorità cinesi” per la convenienza di entrambe le parti: Roma vuole evitare ripercussioni (come la coercizione economica), Pechino vuole evitare la pubblicità allo smacco su un’iniziativa che già soffre per problemi finanziari.

L’uscita dal progetto è avvenuta tramite disdetta dell’accordo da parte del governo italiano, spiega ancora il Corriere della Sera. L’Italia aveva provato a cambiare i termini dell’accordo stesso passando a una disdetta per assenza di esplicito rinnovo ma i cinesi hanno rifiutato dopo alcune settimane di ping pong diplomatico, si legge ancora. Così, tre giorni fa, a tre settimane dal termine oltre il quale sarebbe scattato il rinnovo quinquennale automatico, è stata consegnata la nota.

La decisione finale è stata preceduta da una missione in Cina dell’ambasciatore Riccardo Guariglia, segretario generale della Farnesina, in estate e a seguire dalla visita di Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri. Incontri in cui è stata confermata l’intenzione di coltivare il partenariato strategico tra i due Paesi, lanciato nel 2004 quando presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi, e in cui sono stati avviati fra gli altri i passi preparatori per la visita del capo dello Stato, Sergio Mattarella, l’anno prossimo in Cina per i 700 anni dalla morte di Marco Polo.

Ospite al forum Adnkronos, Tajani ha spiegato che è già stata convocata per l’anno prossimo a Verona la riunione intergovernativa Italia-Cina per affrontare tutti i temi di commercio internazionale. “Continuano ad esserci ottimi relazioni e rapporti, pur essendo un Paese che è anche un nostro competitori a livello globale”, ha continuato spiegando che la Via della Seta “non ha prodotto gli effetti sperati, anzi” e che “la non partecipazione” non è “un’azione negativa nei confronti della Cina”.

L’Italia aveva aderito al progetto nel 2019, quando al governo c’era Giuseppe Conte alla guida della maggioranza gialloverde. Era stato il primo – ed è stato l’unico – Paese del G7 ad aderirvi alimentando forti perplessità negli alleati, a partire dagli Stati Uniti. Il rinnovo del memorandum avrebbe potuto generare qualche imbarazzo nell’anno prossimo, quando l’Italia sarà presidente del G7.

Come spiegato nelle scorse settimane da Conte, quell’accordo “doveva riequilibrare la nostra bilancia commerciale e ci è stato chiesto anche dal mondo delle imprese. Ovviamente poi è arrivata la pandemia e quando si valutano gli effetti di quell’accordo bisogna tenere conto che Cina e Italia sono stati i Paesi più colpiti”. Tuttavia, dal 2019 le esportazioni cinesi verso l’Italia sono aumentate sensibilmente spingendo il deficit commerciale a favore della Cina, passato da 383,7 miliardi di euro nel 2019 a 844,4 miliardi nel 2022, cioè è più che raddoppiato in tre anni. Le tendenze import-export dell’Italia verso la Cina “non sono state significativamente influenzate dalla Via della Seta ma piuttosto da fenomeni ciclici e strutturali nell’economia globale”, ha spiegato l’economista Lorenzo Codogno a Formiche.net aggiungendo che per queste ragioni “non sarà affatto facile” riequilibrare la bilancia commerciale.

Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, può rivendicare una promessa mantenuta, un’altra dopo il sostegno all’Ucraina davanti all’aggressione russa. Prima delle elezioni di settembre 2022, infatti, aveva affidato all’agenzia di stampa taiwanese Cna – una scelta non banale – le sue critiche a quell’intesa, definita un “grosso errore”, che “se mi trovassi a dover firmare il rinnovo di quel memorandum domani mattina, difficilmente vedrei le condizioni politiche”.

×

Iscriviti alla newsletter