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Napoleone vs Napoleon. L’occasione mancata di Ridley Scott

Di Alessandro Strozzi

Napoleone Bonaparte, un nome che risuona attraverso i secoli. Egli incarna sì il genio strategico, ma anche la determinazione inarrestabile e la visione rivoluzionaria. Lo spirito del tempo a cavallo. Ma Napoleone fu più di un condottiero militare di eccezione: ha saputo amalgamare l’audacia con l’intelletto, la determinazione con la riflessione. Un re filosofo. Fu santo per molti, demonio per altri, ma invero nessun dei due. Fu piuttosto entrambi: un uomo a tutto tondo, con tutte le sue contraddizioni e ambiguità. Un grande uomo

La grandezza nel chiaroscuro

Le luci della sala si accendono e i mormorii diffusi nella platea confermano il sentimento maturato in circa tre ore: “Napoleon”, il lungometraggio di Ridley Scott atteso da molti, non è riuscito nell’impresa. Non è il kolossal incentrato sull’uomo Napoleone. Nel tentativo di incanalare il tumulto di emozioni, ambizioni e contraddizioni di Bonaparte, il film pare essersi smarrito. Il dolo da parte del regista inglese non è da escludere. Ne emerge una riduzione di un gigante della storia mondiale a adolescente insicuro, vizioso e solo al comando. Può un singolo film dunque raccontare la complessità del carattere, il mistero avvolto nella leggenda, l’essenza di Napoleone? Forse sarebbe riuscito nell’impresa Kubrik, con la celebre sceneggiatura che rimase su carta. Ad ogni modo, tra adulatori e critici, tra Metternich e Chateaubriand, la pietra angolare da cui partire è forse una: Napoleone fu santo per molti, demonio per gli altri, ma invero nessuno dei due. Fu entrambi: un uomo a tutto tondo, con tutte le sue contraddizioni e ambiguità. Un grande uomo.

Napoleone sfida sotto ogni punto di vista la semplicità di nette categorie politiche, psicologiche, morali. Fu certamente un conquistatore, un tiranno forse, ma fu anche grande riformatore, innovatore e sincero oppositore dell’ancien regime. Inaccettabile per questo la reductio ad hitlerum che i titoli di coda di “Napoleon” hanno suggerito, come se i caduti delle battaglie cui prese parte fossero il frutto del delirio di onnipotenza di un solo uomo. Napoleone visse in un’epoca di tumulto politico e sociale, e la sua ascesa al potere fu plasmata da un intricato intreccio di fattori storici, economici e culturali. Le sue azioni, seppur controverse, furono spesso il risultato di pressioni politiche e sociali intricate. Contestualizzarle svela una banale ma spesso ignorata verità: la situazione è sempre un po’ più complessa di quanto si è portati a pensare. Detto ciò, proviamo a focalizzare alcuni aspetti dell’uomo Napoleone, con inquadrature ulteriori, certamente non esaustive, rispetto al film.

Gioventù e carriera militare

Napoleone Bonaparte nasce ad Ajaccio, poco più di un anno dopo la firma del trattato di Versailles del 1768, che permise alla Francia di annettere la Corsica. Cresce in una famiglia numerosa, con il padre Carlo, avvocato e cancelliere, già membro dei notabili di Ajaccio, e la madre Letizia, donna tosta e coraggiosa. Il padre Carlo, già fervente nazionalista coinvolto nelle vittorie e sconfitte della milizia corsa di Pasquale Paoli, alla fine cambia schieramento unendosi ai Francesi: viene così accettato come membro della nuova nobiltà corsa. Nel 1778 viene designato rappresentante della Corsica presso la corte di Luigi XVI a Versailles. Un’importante opportunità per ottenere dal Re l’iscrizione di figli presso le scuole più prestigiose: così, Napoleone viene destinato al Collegio vescovile di Autun. A nove anni poi varca la soglia di Brienne–le–Château, una delle scuole militari preparatorie alla grande Scuola Militare Reale di Parigi. Qui, l’”educazione sentimentale” del giovane Bonaparte ha inizio. Inizialmente deriso dagli aristocratici francesi compagni di studi – a causa del suo nome, del suo accento e del poco denaro che riceveva dal padre – affronta le avversità plasmando i primi tratti del suo carattere. Odia gli arroganti. Solitario e riservato, Napoleone dimostrò sin da allora una grande ambizione e forza d’animo. Viene ricordato come un lettore appassionato, avido di conoscenza, affascinato dalla storia e dai grandi condottieri, come Cesare e Alessandro. E coltivando con pazienza i semi del suo futuro carisma, conquista gli altri ragazzi.

La leggenda narra che, durante l’inverno a Brienne–le–Château, Napoleone partecipasse a grandiose battaglie a palle di neve con i compagni di scuola. Si immagini la scena: il cortile della scuola, ricoperto da un sottile strato di neve, punteggiato di tanti ragazzi in divisa. Napoleone scruta il cortile come fosse a Gaugamela o Alesia. I suoi occhi tradiscono un’intuizione, come se nella vittoria di queste battaglie giocose vedesse già i riflessi di qualcosa di più grande. Tra risate e schiamazzi, in quel cortile, già si stava realizzando il sogno. Napoleone fa dunque prove plastiche di grandezza già da fanciullo. Scott se ne disinteressa totalmente. Un vero peccato.

Il giovane corso arriva quindi pronto all’ammissione presso la prestigiosa Scuola Militare di Parigi nel 1784, optando per l’artiglieria. A soli 16 anni, Napoleone già porta sulle spalle il grado di sottotenente, navigando tra reggimenti in diverse località. Giunge quindi il 1789, e con esso la scintilla della rivoluzione. Napoleone, tornato in Corsica, partecipa alla guerra civile del 1793, ottenendo successi militari notevoli, poi culminati nella liberazione di Tolone che Scott riproduce in modo piuttosto fantasioso ed eccessivamente cruento. I lealisti monarchici avevano preso il controllo della città, consegnandola alle forze britanniche e spagnole. La Prima Repubblica francese quindi, guidata dalla Convenzione nazionale, invia un esercito per riprendere la città, tra cui il giovane capitano Napoleone Buonaparte, nominato capo dell’artiglieria. Dopo aver concepito un piano per prendere i fortini chiave e impedire il rifornimento marittimo nemico, Napoleone organizzò il posizionamento strategico delle batterie di cannoni. Nel corso dell’assedio, nonostante alcune controversie, Buonaparte dimostrò abilità e determinazione: la sua linea tattica fu quella che determinò la vittoria. Non fu una battaglia di una sola notte, bensì un assedio di mesi e mesi.

Grazie a questi successi e ottenuta la carica di Generale di brigata – non viene certo nominato con una sorta di investitura cavalleresca al termine della presa di Tolone, come il film vuole far credere – attira l’attenzione di Paul Barras, figura politica chiave della Rivoluzione. La Convenzione era in crisi e l’instabilità politica diffusa: siamo a Parigi, il 13 Vendemmiaio. Rivoltosi realisti cercano di marciare sul Palazzo delle Tuileries, ma vengono respinte da Paul Barras, appunto, al comando delle truppe, coadiuvato da Napoleone Bonaparte. Quest’ultimo accettò di unirsi alle forze di Barras per difendere la Repubblica solo a condizione di avere completa libertà di azione. Così accadde. Napoleone gioca un ruolo decisivo nel sedare la rivolta.

Giuseppina, Maria e Maria Luisa

Scott ha ragione: è inutile qualsiasi tentativo di raccontare Napoleone senza considerare un alleato fondamentale che lo affiancò per oltre un decennio: non parliamo né di Fouchè, né di Talleyrand, ma di sua moglie Giuseppina. Scott avrebbe potuto intitolare il film “Napoleone e Giuseppina”, se solo avesse ritratto questa in maniera meno fantasiosa. Il rapporto tra i due viene dipinto sullo schermo come perverso e adolescenziale, alimentato più dalla gelosia che dalla stima e dall’affetto reciproci. Nella realtà, la vita di Giuseppina, nata in Martinica e segnata da molteplici difficoltà – il matrimonio con Alexandre de Beauharnais, il rapporto con il padre e i possedimenti oltreoceano, la gestione dei figli Eugène e Hortense, la tragica morte di Alexandre durante il Terrore… – ne face una donna scaltra e forte. Giuseppina fu davvero un’alleata e capace consigliera di Napoleone, una cara amica che, superando le sfide della rivoluzione e del Terrore, contribuì significativamente e con astuzia alla vita del generale.

Ma non fu la sola. Tra le donne che attraversarono la vita di Napoleone, due lasciarono un’impronta distintiva: Maria Walewska e Maria Luisa. Solo la seconda compare brevemente nel film. Nel 1807, Napoleone incontrò la contessa Walewska a Varsavia, in Polonia. Nonostante fosse sposata con il conte Anastase Walewski, Maria divenne l’amante di Napoleone, dando alla luce un figlio nel 1810. Maria morì poi nel 1817, ma il profondo affetto che la legò a Napoleone perdurò sino alla fine. Tornando indietro, dopo il divorzio da Giuseppina nel 1810, Bonaparte – su consiglio dell’allora alleato e grande diplomatico Metternich – strinse un’alleanza con l’Austria attraverso il matrimonio con l’arciduchessa Maria Luisa. Da questa riuscì ad ottenere il tanto agognato erede nel 1811, chiamato Napoleon Francois Joseph Charles, l’Aiglon destinato a regnare sull’Italia dal Palazzo del Quirinale. Ma il rapporto tra i due non durò a lungo. Dopo la caduta di Napoleone nel 1814, Maria Luisa tornò in Austria. Non si sarebbero più rivisti.

Campagna d’Italia e d’Egitto

Napoleone non abbandona l’Egitto per i tradimenti di Giuseppina come vorrebbe Scott, ma perché ad Abukir perse l’intera flotta per mano di Horatio Nelson, mentre la coalizione antifrancese stava minando i successi della sua campagna d’Italia. Che Scott salta a pie pari. Campagna che iniziò pochi giorni dopo il matrimonio e segna una serie di vittorie straordinarie, da Montenotte a Lodi, Milano e oltre. Entra nel mito – ma non nel film – il culmine della battaglia di Arcole. Napoleone che si lancia audacemente alla testa dei suoi uomini, con il tricolore francese sventolante, guidando l’assalto attraverso il ponte. Il trattato di Campoformio con gli austriaci sigilla il successo nel nord della penisola. Napoleone ha lasciato un’impronta duratura sul nostro paese, aprendo la strada a movimenti nazionalistici e contribuendo alla formazione dell’identità italiana nel corso del XIX secolo.

Gli allori non consentono al corso di riposare, perché viene inviato immediatamente in un’altra avventura, più complessa della precedente. Nel 1798, Napoleone parte per l’Egitto, accompagnato da 50.000 uomini, tra cui 160 scienziati, ingegneri e artisti. Bonaparte non solo vuole disturbare le rotte commerciali britanniche, ma anche svelare i segreti dell’antica terra. Tra la cattura di Alessandria e la Battaglia delle Piramidi, Napoleone non è il conquistatore assetato di potere, ma il leader visionario desideroso di lasciare il segno, di indagare il mondo ed il passato. Le scoperte furono notevoli: dalla spiegazione dei fenomeni del miraggio al ritrovamento della stele di Rosetta. Bonaparte amò l’Egitto, ammirandone la grandezza e sentendosi finalmente giunto nel pantheon dei suoi eroi: Cesare e Alessandro. Ma, lupus in fabula, l’ammiraglio britannico Nelson (come detto pocanzi) distrugge la flotta francese ad Abukir, costringendo il generale ad un veloce e furtivo rientro in patria.

Il Console repubblicano

Nel 1799, Napoleone riesce nel difficile ritorno. Trova la Francia davanti alla minaccia della Seconda coalizione e il Direttorio vacilla. I tempi sono maturi per sfidare la sorte. Forte del sostegno dei fratelli Giuseppe e Luciano, di figure come Ducos, Sieyès, Talleyrand, e Fouchè – senza dimenticare Barras – Napoleone forza il destino. Diffusa notizie su un complotto contro la repubblica, i consigli legislativi ((Consiglio dei Cinquecento e Consiglio degli Anziani) vengono trasferiti a Saint–Cloud, fuori Parigi. Lì si consuma il leggendario 18 brumaio, che sarebbe stato poi narrato da Curzio Malaparte. Nell’aula da Consiglio dei Cinquecento, i deputati si opposero con forza a Napoleone, giunto per convincerli di una necessaria riforma del governo. Nel caos generale, Luciano – allora presidente dell’assemblea – prende l’iniziativa: esce dall’aula con il fratello e incita le truppe raccolte ad intervenire. Con la spada puntata al collo di Napoleone, dichiara di essere disposto a uccidere suo fratello per difendere la libertà della Francia. Scott lo mostra nel film, in una delle scene forse meglio riuscite. I veterani delle campagne napoleoniche entrano quindi nell’aula e disperdono i deputati. Il 13 dicembre 1799, viene promulgata una nuova Costituzione, la cosiddetta “Costituzione dell’Anno VIII”, che conferisce a Napoleone il titolo di Primo Console a vita, con un potere praticamente illimitato.

Questo periodo fu caratterizzato da una serie di riforme, sia politiche che sociali, di un’importanza incredibile, ma spesso dimenticata. Spicca il progetto promosso da Napoleone che culminerà nell’omonimo Codice del 1804. Rappresenta uno dei più significativi e duraturi legati lasciati dal prossimo imperatore. Impossibile negarne la modernità. Napoleone fu anche questo, un profeta del presente, in un mondo ancora legato al passato. Prima del Codice, la Francia era caratterizzata da una molteplicità di leggi regionali e consuetudini che rendevano il sistema giuridico estremamente complesso. Ha garantito diritti fondamentali e protezioni legali a tutti i cittadini, contribuendo a smantellare il sistema feudale esistente prima della Rivoluzione francese, e ha posto fine a molti privilegi ereditati dall’ancien régime. Il Codice Napoleonico rappresenta un monumento legislativo che ha contribuito a plasmare la moderna concezione del diritto civile. Napoleone prese personalmente parte alla realizzazione dello stesso, partecipando alle sedute di discussione e inviando dispacci quando si trovava all’estero.

Torniamo alla politica estera, con il rientro di Napoleone dall’Egitto. I francesi stavano subendo diverse sconfitte in Italia e in Germania ad opera degli austriaci e dei russi. La Seconda coalizione antifrancese rovesciò la Repubblica Napoletana, quella Romana e la Repubblica Cisalpina. Così, nel maggio 1800, Napoleone ora Console assume il comando dell’Armata di riserva per invertire la rotta del conflitto. Il 14 giugno 1800, a Marengo, combatte la più celebre delle battaglie in Italia. La pace fu siglata col trattato di Lunéville, che sostanzialmente riaffermava il precedente trattato di Campoformio. Nel 1802, Napoleone diventa Presidente della neocostituita Repubblica Italiana, fino al marzo 1805, quando assume il titolo di Re d’Italia. Un celebre basso rilievo a Palazzo di Brera a Milano ne ricorda l’incoronazione. A proposito della corona, sentenziò “Dio me l’ha data, guai a chi la tocca!”. Maestro di retorica e comunicazione ante litteram, in ogni occasione fatidica Napoleone fu anche questo. La pace di Amiens del 1802 segna la fine del conflitto. Napoleone in un colpo solo distrugge la coalizione antifrancese e ottiene il sostegno dello zar Alessandro I, portando per due anni la pace in Europa. Capolavoro strategico.

L’Imperatore tra leadership e genio strategico

Con la cerimonia di incoronazione nel 2 dicembre 1804 a Notre-Dame, Napoleone tocca l’apice della sua grandezza: si autoincorona Imperatore dei francesi. Contrariamente alle consuetudini, Napoleone non riceve la corona direttamente dal Papa Pio VII, presente alla cerimonia, ma si auto–incoronò. Però nemmeno strappò di mano al Papa la corona, come Scott mostra. Napoleone imperatore, uomo solo al comando dunque? Assolutamente no. Il corso è pienamente consapevole che quello del self– made man è solo un mito. La simbologia e il power display del potere assoluto è solo teatro. Per questo, con l’istituzione dell’Impero francese nel 1804, reintroduce il titolo di Maresciallo di Francia. La scelta di Napoleone di nominarne molti tra i suoi migliori generali ha l’obiettivo di promuovere la coesione e la lealtà tra i grandi uomini che hanno accompagnato la sua ascesa. La meritocrazia e l’efficienza caratterizzavano la leadership di Napoleone. Uomini come Ney, Soult, Berthier, Suchet, Masséna, Lannes e Davout rappresentano esempi di comandanti eccezionali che contribuirono alle vittorie della Grande Armée. Nessuno è solo se vuole essere al comando.

Nel 1805, la terza coalizione europea si forma per contrastare Napoleone: la flotta francese subisce una devastante sconfitta a Trafalgar, annullando i piani di invasione dell’Inghilterra. Ma sul fronte terrestre, le forze coalizzate austriache e russe sono, nonostante numericamente superiori, divise. Napoleone costringe alla resa l’esercito austriaco a Ulma e, dopo la battaglia di Caldiero in Italia, entra a Vienna. La decisiva vittoria di Austerlitz il 2 dicembre 1805 disgrega la coalizione e pone fine al Sacro Romano Impero. Senza la presenza di laghi ghiacciati – la fantasia di Scott non ha avuto limiti qui – Napoleone ottenne la vittoria attraverso l’uso strategico degli altipiani, in particolare quello di Pratzen, e ritirate strategiche che illusero la coalizione. Questa vittoria straordinaria, paragonabile a quella di Annibale a Canne, portò i sovrani europei a chiedere la pace, seppur brevemente. Nel 1806, Napoleone affronta una quarta coalizione composta da Gran Bretagna, Prussia e Russia. Dopo una brillante manovra strategica, sconfisse l’esercito prussiano nella battaglia di Jena il 14 ottobre 1806 e entrò a Berlino il 27 ottobre. La guerra continuò con l’avvicinarsi dell’esercito russo, ma Napoleone ne ha ragione nella decisiva battaglia di Friedland il 14 giugno 1807. Lo zar Alessandro I fu costretto a firmare la pace a Tilsit. L’impero resiste. Napoleone è un titano tra gli uomini.

Campagna di Spagna e campagna di Russia

Ma la tracotanza è difficile da contenere. Non pago delle vittorie, per indebolire l’ultima potenza resistente alla Francia, l’Inghilterra, Napoleone impone un embargo noto come Blocco Continentale. Napoleone invade inoltre il Portogallo per colpire la flotta inglese e, contemporaneamente, sfrutta i dissensi nella famiglia reale spagnola per costringere l’abdicazione di Carlo IV, sostituendolo con il fratello Giuseppe. La Spagna sarà la prima crepa dell’impero francese. Nonostante la vittoriosa e rapida campagna per riprendere Madrid nel dicembre 1808, non riesce a sopprimere la resistenza spagnola. Sul fronte orientale la situazione rimane stabile, con Napoleone che affronta la quinta coalizione, ottenendo successi contro gli austriaci nella battaglia di Eckmühl e nella decisiva battaglia di Wagram nel luglio 1809. L’Austria subisce pesanti condizioni di pace. Le campagne militari incessanti e le sfide amministrative cominciarono ad avere la meglio sulla salute di Napoleone. Nel dicembre 1809, divorzia da Giuseppina. La discesa per il corso ha davvero inizio.

Deciso a far rispettare il blocco continentale allo Zar, Napoleone pianifica una campagna decisiva contro la Russia. Nonostante i circa 700.000 uomini, le manovre strategiche ideate da Napoleone per concludere rapidamente la guerra fallirono a causa di errori, delle difficoltà del terreno e delle tattiche avverse dei suoi nemici. La battaglia chiave di questa campagna avvenne il 7 settembre, nella grande battaglia di Borodino, dove i russi furono sconfitti. Tuttavia, dopo essersi insediato a Mosca, Napoleone fu sorpreso dalla città vuota che iniziò a bruciare, un’insidia orchestrata da russi nascosti. Le pagine di Tolstoj in Guerra e Pace sono magistrali nel raccontare la campagna, intervallate da alte riflessioni sul ruolo dei grandi uomini nella storia. La ritirata della Grande Armata fu disastrosa, e durante il passaggio della Beresina, subì pesanti perdite.

“Una sesta coalizione si forma contro di lui. Dopo iniziali vittorie a Lützen e Bautzen, la situazione culmina nella decisiva battaglia di Lipsia. Sconfitta decisiva: la Francia viene invasa dagli eserciti della coalizione nel Natale del 1813. Napoleone è costretto ad abdicare nel 1814 a Fontainebleau. L’atlante si inginocchia sotto il peso del mondo. L’addio alla Vecchia Guardia è il toccante segno della fine di un’era. Fu uno degli episodi più toccanti della vita del grande uomo. Nel cortile del Palazzo di Fontainebleau, Napoleone si rivolge ai suoi uomini, esprimendo gratitudine e affetto verso i veterani che avevano condiviso con lui trionfi e tragedie sul campo di battaglia. Napoleone, noto per la sua eloquenza, si rivolse ai suoi uomini con parole cariche di emozione. Egli riconosceva la loro lealtà e il loro sacrificio, sottolineandone il ruolo cruciale nel mantenere la grandezza dell’Impero francese. Napoleone distribuì abbracci, strinse molte mani, e molti versarono lacrime.

Elba, Waterloo e Sant’Elena

Napoleone viene così esiliato all’Isola d’Elba nel maggio 1814. Il colosso però non cede, il suo spirito è ancora quello dell’imperatore. Durante l’esilio si ingegna, costruisce infrastrutture, migliora la vita dei cittadini della piccola isola, pensa al futuro, mentre il Congresso di Vienna prende forma sotto gli auspici di Metternich, Castlereagh ed il traditore Talleyrand, per realizzare quel “Mondo Restaurato” di cui Kissinger ha molto scritto. Napoleone fugge dall’isola il 26 febbraio 1815. Sbarcato in Francia, iniziano i gloriosi “Cento Giorni”. Il ritorno del Grande genera un’isteria nel continente, lampi di entusiasmo diffuso tra la popolazione. Vince le truppe inviate per catturarlo con il semplice carisma. Toccante la scena con il Maresciallo Ney che, inviato per fermare l’avanzata dell’ex imperatore nei pressi di Lione – aveva promesso a Luigi XVIII di riportarlo a Parigi in una gabbia di ferro – decise invece di unirsi al suo vecchio comandante.

Il 20 marzo 1815 Napoleone fa il suo trionfante ritorno a Parigi, mentre Luigi XVIII fugge. Dopo una rapida riorganizzazione dell’esercito, Napoleone chiede la pace agli avversari nuovamente coalizzati, ma la richiesta è respinta. La guerra riparte terminando con la Battaglia di Waterloo, combattuta il 18 giugno 1815. Segna la fine di Bonaparte. Nell’affrontare le forze inglesi guidate da Wellington, giunge il momento decisivo quando le riserve prussiane di Blücher giungono in soccorso dei britannici, invertendo le sorti della battaglia. Citando la vibrante narrazione di Stefan Zweig nell’opera “Momenti Fatali”, impossibile tralasciare l’errore esiziale commesso dal maresciallo Grouchy, totalmente ignorato da Ridley Scott. La sua decisione di non unirsi al fronte principale della battaglia– “Il faut marché au son du canon!” – fu fatale. La mancata presenza di Grouchy a Waterloo indebolisce significativamente le forze francesi. Il genio dell’imperatore non bastò.

Le forze nemiche occupano Parigi e Napoleone, in preda a disperazione e frenesia, inizialmente si rifugia al castello di Malmaison. Poi, il 15 luglio 1815, si arrende agli inglesi. Si dice che avesse negoziato un esilio negli Stati Uniti, desideroso di condurre una nuova vita lontano dalle sfide politiche e militari, come privato cittadino. Difficile a credersi, ma affascinante immaginare lo sbarco nel nuovo mondo di uno dei più grandi uomini del vecchio, e le avventure che ne sarebbero conseguite. Una futura serie tv à la “The Man in the High Castle” in chiave napoleonica, racconterà le sue gesta americane in un universo parallelo. Napoleone però viene esiliato all’Isola di Sant’Elena, tradito negli accordi dagli inglesi. Qui, sotto stretta sorveglianza, detta le sue memorie, registrando i dettagli delle sue campagne militari e della sua visione del mondo. Il Memoriale di sant’Elena sarà l’opera letteraria che Napoleone avrebbe tanto voluto scrivere da giovane. Appena giunto sull’isola, in attesa che Longwood House fosse pronta – dimora designata per la sua permanenza – fu ospitato da tale famiglia Balcombe. La giovane figlia dei coniugi Balcombe, Betsy, allora tredicenne, instaurò rapidamente un autentico legame con l’imperatore. Napoleone divenne compagno di giochi di Betsy. La loro amicizia sfidava le convenzioni della corte, poiché Betsy non trattava Napoleone con deferenza e lo vedeva come un simpatico coetaneo. Nel marzo 1818, i Balcombe dovettero lasciare Sant’Elena. Prima della partenza, Napoleone si congedò da Betsy, chiedendole cosa desiderasse come ricordo della loro amicizia. La risposta fu unica e toccante: una ciocca dei suoi capelli. Napoleone chiamò il servitore Monsieur Marchand, e ordinò di tagliare non una, ma alcune ciocche di capelli, una per Betsy, le altre per i familiari. La ciocca di capelli diventa così un prezioso ricordo, un simbolo tangibile dell’umanità di Napoleone dietro la temibile figura storica. Il colosso morì il 5 maggio 1821 per un tumore allo stomaco. Le sue ultime parole furono significative: “Francia, esercito, Giuseppina”. Scott su questo ha ragione.

L’uomo, più grande del mito

Napoleone Bonaparte, un nome che risuona attraverso i secoli. Egli incarna sì il genio strategico, ma anche la determinazione inarrestabile e la visione rivoluzionaria. Lo spirito del tempo a cavallo. Ma Napoleone fu più di un condottiero militare di eccezione: ha saputo amalgamare l’audacia con l’intelletto, la determinazione con la riflessione. Un re filosofo. Vengono alla mente le parole pronunciate dal vecchio Tolomeo, interpretato da Anthony Hopkins, nel film “Alessandro il Grande”: “Ho vissuto una lunga vita ma la gloria e il ricordo degli uomini apparterranno sempre a coloro che seguono le loro grandi visioni. Ho conosciuto molti uomini grandi nella mia vita, ma solo un colosso. Il più grande di questi è quello che ora chiamano Megas Alexandros. Il più grande di tutti”. Tolomeo racconta dell’essenza di essere giovani, di perseguire grandi sogni e di credere che, quando uomini come Alessandro ti guardano negli occhi, ti senti in grado di fare qualsiasi cosa. Possiamo immaginare che i membri della Vecchia Guardia avrebbero usato le stesse parole per il loro comandante, Napoleone. La sintesi di quella straordinaria esistenza può essere questa: con talento, volontà e un pizzico di fortuna, ogni uomo può davvero fare la differenza nel mondo. Con buona pace di Ridley Scott e dei suoi antenati che, da sudditi britannici, guardavano all’Imperatore dei francesi con livore (e forse un po’ di invidia). Ringraziamolo almeno per averci obbligato ad un sano ripasso della vita di un uomo. Un grande uomo.

(Foto: Eagle Pictures)


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