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Perché al Piano Mattei serve “cultural intelligence”. Il commento di Caligiuri

Come ricordato da Elisabetta Belloni (Dis), in occasione della Conferenza degli ambasciatori d’Italia, il tema principale del Piano Mattei è quello delle risorse, finanziarie certamente, ma anche informative, umane e tecnologiche. Il commento di Mario Caligiuri, presidente della Società italiana di intelligence

A sessantun anni dalla sua tragica scomparsa, la società italiana deve ancora fare i conti con Enrico Mattei, che però continua a rappresentare costantemente l’idea di un’Italia forte e possibile.

Nell’ottobre dell’anno scorso, durante il discorso di insediamento da presidente del Consiglio, Giorgia Meloni aveva annunciato un Piano Mattei per l’Africa, per favorire la collaborazione e la crescita tra l’Unione europea e i Paesi africani. L’idea originaria di Mattei è stata ricordata da Claudio Descalzi, oggi amministratore delegato di Eni: “Se vogliamo fare un buon piano dobbiamo partire dai loro bisogni reali e non dai nostri profitti”. Il richiamo a Mattei è importante in quanto espressione di quella visione politica che, insieme al nostro inserimento nell’area del libero mercato e alla riforma scolastica di Giovanni Gentile, ha consentito di ricostruire l’Italia in pochi anni, trasformandola da nazione contadina in una delle potenze industriali più importanti del pianeta.

Oggi lo scenario internazionale è mutato, ma non la geografia e le regole basilari della geopolitica. Nel vecchio continente l’Unione europea svolge funzioni prima assegnate agli stati sovrani, soprattutto in campo economico. L’Africa rappresenta sempre di più il continente del futuro che si fronteggia con l’Europa: da un lato esplosione demografica dall’altro suicidio demografico, da un lato ricchezza di materie prime dall’altro progressiva mancanza di materie prime. Sono dati che possono già da oggi fare intravedere aspetti fondamentali di quanto potrebbe presto accadere. Non a caso, Cina e Russia da tempo stanno coltivando i rapporti con i Paesi africani, incrinando fortemente il predominio di Francia e Regno Unito.

Appunto su questo, come riportato dal Corriere della Sera, Elisabetta Belloni, direttrice generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, ha soffermato la sua attenzione per ribadire che l’intelligence nazionale è pronta a svolgere il proprio ruolo, precisando che l’Italia deve avere il supporto dell’Unione europea per sviluppare una politica efficace. Non sono poi passati tantissimi anni da quando l’intelligence italiana ha svolto azioni di grande significato nei Paesi africani del Mediterraneo, in particolare in Libia e in Tunisia. Infatti, il tema principale è quello delle risorse, finanziarie certamente, ma anche informative, umane e tecnologiche.

Nella globalizzazione, i Paesi amici non sempre sono alleati e i Paesi alleati non sempre sono amici, perché la competizione è la regola. In uno scenario del genere, il nostro Paese può accentuare il suo ruolo, per la sua collocazione geopolitica e per il suo retaggio storico. Pertanto, occorre efficacemente rappresentare a livello europeo che l’azione dell’Italia va in direzione comunque degli interessi dell’Unione, che se si arrocca in una visione miope rischia di essere travolta nel suo benessere e nelle sue sicurezze.

Paul Collier, professore dell’Università di Oxford, l’ha spiegato benissimo: l’immigrazione sarà destinata inevitabilmente a crescere e investirà sempre di più l’Europa, perché è il frutto delle disuguaglianze spaventose tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Le ex potenze coloniali hanno gestito i rapporti con l’Africa intessendo spesso relazioni con classi dirigenti che raramente riescono a rappresentare gli interessi dei propri Paesi. E quando c’è qualche eccezione, come nel caso di Thomas Sankara nel Burkina Faso, viene regolata in maniera sbrigativa.

L’approccio deve essere del tutto diverso. Culturale prima di tutto. Appunto per questo la cultural intelligence oggi può rappresentare una risorsa determinante e necessaria, comprendendo non solo mentalità ma anche necessità presenti e future dei popoli africani. Da questo punto di vista, provare a realizzare un Piano Mattei è certamente un’intuizione significativa ma deve rappresentare l’avvio di un progetto europeo, perché il destino è comune in quanto “nessuno si salva da solo”.

E noi italiani dobbiamo agire senza complessi di inferiorità, proprio come indicava Mattei, che appartiene alla memoria collettiva del nostro Paese.


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