Donald Tusk non perde tempo. Una volta prestato giuramento presso il Palazzo presidenziale, vola a Bruxelles per prender parte al vertice Ue dedicato ai Balcani occidentali e alla riunione del Consiglio europeo. Così, il nuovo premier polacco inaugura la stagione della Polonia europeista
Ghigni compiaciuti e volti funerei. Sono le espressioni dei protagonisti del nuovo ordine polacco. Nuovi vincitori e nuovi vinti. Finalmente, il ritorno di Donald Tusk è stato ufficializzato dalla nascita del neo esecutivo, retto da Piattaforma Civica (Platforma Obywatelska), Terza Via (Trzecia Droga) e Nuova Sinistra (Nowa lewica).
Il tentativo da parte dell’ex premier, di tenere in vita la speranza di un Morawiecki bis, è stato respinto da 266 deputati. Nessun astenuto. Singolari le assenze dei suoi ex collaboratori: Szymon Szynkowski vel Sęk (ex ministro degli Esteri) e Zbigniew Ziobro (ex Ministro della Giustizia).
Mentre il Sejm concede la fiducia al governo Tusk. 248 favorevoli, 201 contrari e, anche in questo caso, nessun astenuto. Segno evidente di uno scenario politico abbastanza nitido e, come il buon costume polacco impone, senza sfumature. Già, la storia nazionale non ammette neutralismi. Parteggiare. Questa è l’unica regola prevista, il solo imperativo categorico.
E dopo la presentazione della nuova squadra di governo e dopo aver prestato giuramento al Palazzo presidenziale, Donald Tusk decide di prendere il primo volo per Bruxelles. La nuova postura della Polonia in Europa dev’essere esplicita. Subito. Perciò, in Rue de Loi 175, “l’agente tedesco” Tusk (l’epiteto coniato e reiterato da Jarosław Kaczyński nel corso della campagna elettorale, e urlato all’interno della Camera bassa) abbraccia Ursula von der Leyen, e si appresta a prender parte al vertice Ue dedicato ai Balcani Occidentali.
“Sono molto felice di essere di nuovo qui. Finalmente, la Polonia torna in Europa. Questo è probabilmente il momento più importante della mia vita politica”. Sono state le prime parole pronunciate da Tusk, una volta atterrato nel cuore dell’Unione Europea. Ma prima di svelare il vero motivo che ha condotto il nuovo premier polacco lontano da Varsavia, è utile segnalare alcuni passaggi che impostano il radicale cambio di rotta di quella che i quotidiani polacchi hanno battezzato senza mezzi termini “l’era Tusk”.
Difesa, giustizia, politica energetica, aumenti salariali, bilancio, rapporti bilaterali tra Varsavia e Kiev, nuovi tavoli con Washington.
“Voglio convincervi che 300.000 soldati dell’Esercito polacco sono un obiettivo molto realistico”, ha sostenuto l’ex ministro della Difesa, Mariusz Błaszczak, davanti al suo successore, Władysław Kosiniak-Kamysz. Già, perché l’aumento della spesa militare e il polish dream alimentato dalla power politics, hanno rappresentato il combinato vincente che ha permesso alla piccola e sottovalutata Polonia di presentarsi al cospetto dell’Occidente come una Supernova in campo militare. Negli anni precedenti, la volontà di potenza, propria del sovranismo kaczynskiano, e la posizione strategica sul fianco orientale della Nato, hanno elevato Varsavia a interlocutore fondamentale nello sviluppo del conflitto russo-ucraino. Infatti, Błaszczak durante il passaggio del testimone, ha consegnato al nuovo ministro la sua “eredità” più preziosa: una mappa delle unità militari nella Polonia orientale. Soprattutto, in un momento di grande tensione nel deep state, dato che, come ha riferito mercoledì il Cir (Centro informazioni governative), il collegio dei servizi speciali ha espresso parere positivo sul licenziamento dei capi dei servizi. Sul sito del Cir è possibile apprendere che “il primo ministro Donald Tusk ha chiesto al Collegio e alla Commissione parlamentare per i servizi segreti, e al presidente, di esprimere il loro parere sulla destituzione dei vertici dell’Agenzia per la sicurezza interna, dell’Agenzia di intelligence estera, dell’Agenzia centrale Ufficio anticorruzione, Servizio di controspionaggio militare e Servizio di intelligence estero militare”. Questione che merita un serio approfondimento e un’analisi più ampia. Tuttavia, l’approccio polacco verso la situazione ucraina non dovrebbe subire cambiamenti plateali. Ieri, il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kułeba, ha riferito che il suo collega polacco ha sostanzialmente confermato l’impegno per un ulteriore rafforzamento delle relazioni ucraino-polacche, per contenere l’attacco russo e per facilitare l’integrazione di Kyiv nell’Ue e nella Nato.
Inoltre, anche sul fronte americano, i rapporti tra il nuovo esecutivo e la Casa Bianca sembrano riproporsi nella vecchia forma di “collaborazione subalterna”. Sikorski ha avuto modo di discutere con Antony Blinken, il Segretario di Stato americano, sulla necessità di mantenere l’unità occidentale di fronte alle mire del Cremlino.
Invece, per quanto concerne il tumultuoso mondo della giustizia polacca, da cui dipende la stragrande maggioranza dei guai del governo precedente, il cambio di passo è più tangibile. In conferenza stampa, il nuovo guardasigilli Adam Bodnar, ha garantito: “Lavoreremo sulla separazione degli uffici del ministro della Giustizia e del procuratore generale. È l’intera comunità giudiziaria, con la quale ho l’onore di collaborare e che ha dimostrato un coraggio straordinario negli ultimi anni, ha richiedere tale separazione”.
Tradotto: il sistema Ziobro va smantellato. Pezzo dopo pezzo.
Contemporaneamente Tusk ha disposto l’istituzione di un gruppo interministeriale per la ripristina dello stato di diritto, oltre che la promessa di metter mano alla “diabolica Lex TVN” e garantire l’indipendenza del servizio pubblico.
Passaggi obbligati per poter, oggi, presentarsi a Bruxelles e venerdì incontrare il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e ottenere lo sblocco dei fondi per la Polonia dal Piano Nazionale di Ricostruzione (KPO).
“Non voglio anticipare i fatti prima dell’incontro con il capo della Commissione”, ha affermato Tusk. “Ma sembra che siamo giunti alla fase finale, alla risoluzione del dilemma. Vi sono leggi già pronte, ma sappiamo ovviamente che alla fine richiederanno l’approvazione del presidente Duda, uno dei coautori del problema”.
Asserzioni che hanno stuzzicato l’ira e l’indignazione di alcuni europarlamentari del PiS. Beata Szydło ha commentato: “La Polonia è stata ed è in Europa da sempre. Queste affermazioni pompose stanno diventando sempre più imbarazzanti”.
Bisogna attendere l’esito dell’incontro per valutare se Tusk sarà realmente in grado di portare a casa quei fondi europei che la Polonia brama e rincorre da troppo tempo. Una strada in salita, certo. Dopotutto, il tridente Duda-Kaczynski-Morawiecki non è ancora un ricordo. Ma un’alleanza, una visione che non tramonterà nel breve periodo e che ostacolerà il percorso della Polonia europeista.