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Settimana corta, cosa possiamo imparare dagli accordi Luxottica e Lamborghini

Di Luca Failla

Gli accordi Lamborghini e Luxottica hanno introdotto la settimana corta in via sperimentale su base di adesione volontaria dei lavoratori interessati, inizialmente solo qualche migliaio con possibile estensione, poi in caso di riuscita alla totalità della platea aziendale. Questo binomio – sperimentazione e adesione volontaria dei lavoratori – è la garanzia concreta ed indissolubile per la buona riuscita di qualunque nuovo progetto organizzativo. L’avvocato Luca Failla spiega l’evoluzione di questo modello organizzativo

Lo sosteniamo ormai da periodi non sospetti: la prima azienda italiana che avesse seriamente introdotto la settimana corta ed il rendimento contrattato della produzione avrebbe poi dettato la linea a tutte le  altre.

E così è successo.

Dopo il remote working e la settimana corta del terziario avanzato (commercio, banche e assicurazioni vedi Intesa San Paolo e tante altre)  contrariamene ai dubbi di molti operatori del settore, ecco che arriva la settimana corta di 4 giorni anche nel manifatturiero e nella produzione, sfatando così il mito negativo della inapplicabilità di tale modello alla struttura produttiva manifatturiera e cioè alla fabbrica (o plant come oggi si usa dire).

Come la famosa storia del calabrone secondo cui la“sua  struttura alare in relazione al suo peso, non è adatta al volo, ma lui non lo sa e vola lo stesso”, così anche l’industria manifatturiera – secondo molti ancora perplessi –  non sarebbe adatta alla settimana corta ed alla organizzazione flessibile del lavoro e della produzione ma non sapendolo la applica, sconfiggendo così le regole della fisica e sfatando il comune sentire.

Paradossi a parte, i recenti accordi Lamborghini e Luxottica hanno per la prima volta introdotto la settimana corta di 4 giorni anche nella produzione alternando settimane di 5 giorni ad altre di 4 giorni con venerdì libero (circa 20 nell’anno), in via sperimentale e su base volontaria per una platea inziale di qualche migliaio di lavoratori con possibile estensione, in caso positivo, di tale modello al resto della platea dei lavoratori interessati.

L’idea di fondo è che la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario (variabile indipendente?) non riduca la produttività ma anzi la possa addirittura incrementare (comunque non diminuire), segno del mutare dei tempi e di una nuova consapevolezza anche sindacale di “ingaggio” partecipativa negli obiettivi e nei risultati aziendali a beneficio di un maggiore bilanciamento di interessi azienda-lavoratori che il tempo libero maggiorato (nelle settimane di 4 giorni con venerdì libero) potrà indubbiamente portare a favore dei lavoratori.

È questo il nuovo portato di quanto abbiamo tutti vissuto durante il periodo Covid, e dei nuovi universi valoriali che ne sono derivati (il bisogno sempre maggiore di più vita vissuta in famiglia o per i propri interessi a parità di salario) impensabili solo qualche anno fa, che inducono oggi aziende e sindacati ad in-contrarsi (invece di s-contrarsi) su di un comune terreno di intesa in cui giocano insieme interessi aziendali (al produttività ed al rendimento) anche a beneficio dei lavoratori coinvolti.

Se, infatti, la produttività aumenta (ovvero non diminuisce) perché stupirsi se i lavoratori possono ridurre il tempo di permanenza  in fabbrica a parità di retribuzione?

Se il tempo di lavoro non misura più il rendimento effettivo del lavoro (sull’equazione ormai superata e anacronistica del più rimango al lavoro e più sarò produttivo) ed anzi, se come ormai acclarato, tale equazione si capovolge secondo una curva discendente poichè con l’aumento del tempo lavorato non aumenta il rendimento ma anzi lo diminuisce in taluni casi – perché, si è pensato, non proporre un modello win-win che coniughi gli interessi aziendali al rendimento produttivo garantito con un incremento del tempo di vita personale dei dipendenti a parità di retribuzione?

Un modello cioè dove il lavoratore a parità di salario, veda diminuito il tempo di lavoro in fabbrica (ovvero aumentato il suo tempo di non lavoro e cioè di vita vissuta fuori dal lavoro) a fronte (anche) di rendimento contrattato della produttività complessiva del periodo lavorato.

Di fatto, ciò è stato possibile riducendo i giorni lavorati (da 5 a 4) su 20 settimane all’anno (mentre le restanti 30 settimane restano a orario pieno) e riducendo parzialmente i giorni di ferie e permessi annui, compensati tuttavia dall’aumento dei venerdì liberi sempre su base annua.

Sicuramento un tale risultato –  impensabile solo qualche anno fa – può diventare oggi realtà dopo le trasformazioni che la pandemia ha introdotto nella impostazione stessa del lavoro sempre meno “subordinato” (inteso come sottoposto a direttive stringenti su cosa fare, quando fare e come fare in un tempo dato) e sempre più volto, invece, al raggiungimento del risultato atteso della propria attività, nell’ambito di una auto-responsabilizzazione del lavoratore introdotta dal lavoro smart durante tutto il periodo pandemico ed oggi divenuta sempre più parte integrante del nuovo modello di lavoro subordinato.

Ciò che dimostrano gli accordi di Lamborghini e Luxottica

Quale che sia la valutazione sulla bontà della settimana corta e del suo utilizzo in produzione (ci vorrà certamente del tempo per verificarne i risultati sul lato aziendale che sul lato personale non pare esserci dei dubbi) i recenti accordi di Lamborghini e Luxottica ci dicono (almeno) due cose importanti che sosteniamo da tempo e di cui dovremmo fare tesoro.

La prima è la seguente: in Italia per innovare non servono nuove leggi sul lavoro (ne abbiamo fin troppe) ma basta applicare quelle che ci sono e, soprattutto, sperimentare concretamente nuove idee, nuovi modelli a livello aziendale negli “spazi” lasciati aperti dai divieti fissati dalle norme (ricordando sempre che le norme del diritto del lavoro  sono quasi sempre finalizzate a “vietare” comportamenti e non a consentirli e che tutto ciò che non è vietato è di per sé lecito e consentito).

La seconda è che fare innovazione in Italia si può: basta sperimentare nuove vie ingaggiando le organizzazioni sindacali sulla via maestra della contrattazione collettiva aziendale o di prossimità (le cose le aziende le possono fare anche da sole ovviamente in via unilaterale ma l’adesione empatica dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali sui nuovi progetti è fondamentale per la riuscita di ogni iniziativa soprattutto se innovativa come quella di cui stiamo parlando).

Parole chiave del successo: sperimentazione e volontarietà

Gli accordi Lamborghini e Luxottica hanno introdotto la settimana corta in via sperimentale su base di adesione volontaria dei lavoratori interessati, inizialmente solo qualche migliaio con possibile estensione, poi in caso di riuscita alla totalità della platea aziendale.

Questo binomio – sperimentazione e adesione volontaria dei lavoratori – è la garanzia concreta ed indissolubile per la buona riuscita di qualunque nuovo progetto organizzativo. Sperimentazione perché consente di “raddrizzare la rotta” in corso di navigazione, rimediando agli eventuali errori, aggiustando il tiro in vista del risultato (eventualmente decidendo anche di abbandonare il progetto se non dà i risultati attesi).

Volontarietà perché è solo sull’adesione libera e spontanea dei lavoratori interessati senza costrizioni dall’alto che si potrà avere quella efficacia necessaria alla tenuta del progetto stesso.

Più i soggetti coinvolti sono motivati nel fare qualcosa più saranno alte le probabilità di successo di quella iniziativa come tutti sanno.

Su questo argomento mi piace ricordare l’esperienza per certi versi simile, vissuta per lo smart working: timidamente proposto dalle aziende anni fa ante pandemia e osteggiato in prevalenza dalle organizzazioni sindacali (nel timore di una disgregazione organizzativa ed umana che avrebbe anche diminuito il ruolo e l’influenza sindacale sui lavoratori atomisticamente isolati a casa), al contrario dopo l’esperienza pandemica è oggi diventata una richiesta costante delle organizzazioni sindacali e ciò dietro il gradimento entusiastico ed inaspettato (ma del tutto immaginabile al contrario da chi lo sosteneva) da parte dei lavoratori stessi che hanno di fatto superato tutte le perplessità e i timori delle stesse organizzazioni sindacali. Un punto da cui oggi non si torna più indietro, come dimostra ormai il modello diffuso nelle maggiori realtà produttive.

Così ritengo potrà diventare la settimana corta una volta sperimentata concretamente con successo: qualcosa di semplicemente irrinunciabile.

Che il tempo della vita vissuta fuori dal lavoro non basta mai, e questa è forse la lezione più significativa  che abbiamo appreso dalla pandemia. Del resto non si dice che la seconda vita inizia quando comprendi davvero di averne una sola ?

Bibliografia di riferimento: Dal fattore tempo al fattore produttività: quale evoluzione per il lavoro subordinato? – Ius Giuffrè 22 agosto 2023;  Flessibilità o produttività oppure flessibilità e produttività? – Persone&Conoscenze luglio/agosto 2023; Settimana corta e “patto di rendimento”: un binomio vincente per aziende e lavoratori– HR online n. 11 2023; La settimana corta è possibile fissando gli obiettivi di lavoro – Affari&Finanza La Repubblica 29 maggio 2023; Dalla settimana corta una più ampia riflessione sul futuro del lavoro subordinato che verrà: il lavoro per obiettivi – ISPER “Personale e Lavoro 655 15 Maggio 2023.

 

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