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Tutte le strade (dell’IA) portano a Roma. Cosa dicono Altman, Gates e Benanti

Da Davos, l’ad di OpenAI è tornato a invocare la necessità di un’agenzia internazionale che possa regolare l’Intelligenza Artificiale, sulla falsariga di quella dell’atomica. Il fondatore di Microsoft e filantropo americano è stato a Palazzo Chigi per affrontare con Meloni tutti gli aspetti più spinosi. Infine, Benanti, presidente del Comitato per l’Intelligenza Artificiale, ha posto l’accento sul pericolo che corre il giornalismo senza regole chiare

“Non sarà più l’intelligenza artificiale a rendere noi uomini unici” perché l’IA “sarà molto più potente di noi”. Al World Economic Forum di Davos, Sam Altman ha raccontato a Repubblica la sua visione sul breve e lungo periodo. Una visione a metà tra l’ottimismo e il pessimismo, come spesso gli è capitato in passato. Ai benefici, l’amministratore delegato di OpenAI – tornato nel suo ruolo pochi giorni dopo essere stato licenziato – ha sempre contrapposto i rischi che i nuovi strumenti digitali possono rappresentare per l’umanità. “Le istituzioni ragionano sull’approccio migliore per regolare l’AI prima che diventi troppo potente, e questo è importantissimo, sono qui per dare una spinta affinché accada. Abbiamo ancora tempo”, ha proseguito parlando di “anni, non decenni”.

Il momento è dunque ora, prima che sia troppo tardi. Bisogna collaborare, è ciò che sostiene Altman, per arrivare a una sorta di agenzia internazionale sulla falsariga di quella creata per regolare l’energia nucleare. Come sottolineato da Repubblica, prima che venisse istituita è stato necessario – si fa per dire – passare per le due bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki, sul tramonto della seconda guerra mondiale. Arrivare al punto di non ritorno per compiere passi in avanti non è un lusso che ci si può permettere più di una volta.

Per di più in un momento in cui la “cooperazione internazionale” auspicata da Altman appare irraggiungibile, con i vari focolai di crisi. “La marea della globalizzazione si ritira, gran parte delle istituzioni internazionali non funziona”, conferma anche lui stesso. “Ma mi sembra di vedere comunque una strada”, ha aggiunto per un pizzico di buona fede.

Dei rischi derivanti dall’intelligenza artificiale hanno parlato anche Bill Gates, fondatore di Microsoft, durante l’incontro di un’ora a Palazzo Chigi con Giorgia Meloni, presidente del Consiglio. L’Italia, trovandosi alla presidenza del G7, ha inserito il tema dell’IA e della digitalizzazione in cima alla sua agenda e i vari incontri con i leader del mondo tecnologico ne sono una conferma. Tra tutti, quello con Elon Musk, il primo e più indicativo vertice.

A delineare le prossime sfide è stato anche, in mattinata, padre Paolo Benanti, presidente del Comitato per l’Intelligenza Artificiale presso il Dipartimento di Informazione ed editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri, presente anche all’incontro con Gates. “Come commissione vogliamo guardare all’impatto che può avere l’intelligenza artificiale sull’informazione e l’editoria”, ha affermato durante l’audizione della commissione di vigilanza della Rai. “Abbiamo ascoltato i giornalisti, gli editori e i player tecnologici”. Da cui sono emerse tre questioni: la prima riguarda “la figura del giornalista che è fondamentale per nutrire l’opinione pubblica e il funzionamento democratico. Oggi il giornalista secondo le radicali tendenze che spingono sulla tecnologia potrebbe diventare secondario alla produzione della notizia. Potrebbero esistere redazioni senza giornalisti”, ha avvertito padre Benanti, sottolineando come questa sia “la prima sfida”.

La seconda questione invece “è come avere giornalisti in un contesto democratico”, che “avviene solo se il settore è capace di mantenere tutto questo. E poi c’è il ruolo giocato dai grandi colossi della tecnologia che al momento non rispondono alle definizioni degli editori. Ci sono le piattaforme che fanno tutto. E qui si apre anche un altro settore, dove le difficoltà sono grandi. Ecco”, ha aggiunto, “questi tre elementi vanno giocati in relazione a quello che l’Europa sta decidendo, ovvero l’IA Act”. Per cui manca ancora un testo, ma già sappiamo che si tratta della prima regolamentazione tech al mondo.

Potrebbe tuttavia non bastare a sanare tutte le questioni. Come ad esempio quella del diritto d’autore e del copyright declinato in termini di equo compenso, “un qualcosa che può minare la sostenibilità industriale del comparto editoriale”, ha sottolineato Benanti. “Se c’è una spesa viva per produrre la notizia e sistemi che filtrano qualsiasi possibilità di revenue, è chiaro che il comparto potrebbe essere danneggiato in maniera irreversibile”. In questo senso, l’Ue ha promosso nel 2019 la direttiva copyright, adottata dall’Italia un anno e mezzo fa, con cui editori e Big Tech sono chiamati a stipulare accordi che non vadano a discapito di nessuno. Come sostiene Altman, con le leggi è tutto più facile e chiaro.

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