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Perché puntare a un apprendimento che dura tutta la vita. L’intervento di Piana

Di Daniela Piana

Formazione lifelong non è una label che trova un accoglimento nelle narrazioni internazionali. È un oggettivo, scientificamente comprovato, meccanismo per rinnovare un contratto sociale. L’intervento di Daniela Piana, professoressa ordinaria di Riti e performatività della legalità nell’era digitale e Scienza politica presso l’Università di Bologna

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Si solleva a fatica, del corpo incerta eppure legata, l’anima che si incede a passi prima bassi e corti poi confortati da bastone che fango e acqua hanno permesso di plasmare, portato dal passato, messo nelle mani del presente per dire vai, dinnanzi il futuro. “Non esitiamo ad osare l’architettura del cambiamento”, soprattutto quando è il momento dell’apprendere. Maria A. Listur, artista pluripremiata di fama mondiale, capace di plasmare ed essere spazio e ritmo di una umanità, che apprende innanzitutto il proprio esserci fra ieri e domani, vivendo l’”ora”, così rappresenta in “de Profundis” la persona che, avvalendosi del portato creato da natura e intelligenza – ramo che diviene bastone, fango e acqua che divengono orme che si possono seguire, ma con libertà – si avventura verso ciò che sta davanti. A noi piace qui partire da quel gesto per parlare di apprendimento che dura una vita. Che è la vita.

Non lasciatevi intrappolare nello scetticismo. Il fatto che la frase apprendimento che dura una vita sia facile quasi banale non è indicatore di irrilevanza. Al contario. In tempi di cambio di passo la semplicità diventa la grammatica generativa di un nuovo mondo.

Nelle parole del Presidente della Repubblica l’accesso ad una istruzione come porta per la pace e la libertà appare nella sua essenza. Un ideale che chiede, tenacemente, senza cedere né concedere nulla alle considerazioni di contingenza, una completa, plurale, ferma e consapevole adesione che si fa pratica. Ed azione. Quelle parole ci parlano. Sono per noi, rendendoci consapevoli del punto di giuntura storica sul quale camminiamo, responsabili verso noi stessi e verso la collettività di costruire un accesso al sapere che sia pensato per durare e vivere. Come la vita.

Formazione lifelong non è una label che trova un accoglimento nelle narrazioni internazionali. È un oggettivo, scientificamente comprovato meccanismo per rinnovare un contratto sociale che parte dal presupposto di avere cura del proprio esprimersi tra persone nel mondo, sociale, economico, professionale.

Un nuovo mondo arriverà e rispecchierà esattamente ciò che pensiamo e come ci comportiamo. Vogliamo che questo mondo sia migliore. “Meglio” significa molte cose diverse. Gli esseri umani che dispiegano la loro vita all’interno delle condizioni ambientali, sociali, economiche e culturali in cui si trovano sostengono indiscutibilmente una vasta gamma plurale di visioni su come dovrebbe essere una buona vita, su come sviluppare il loro potenziale umano e su come entrare in una vibrante interazione con il mondo esterno.

Dobbiamo fare leva su una comprensione comune di ciò che significa creare una dinamica di cambiamento. Ciò comporta l’approvazione e la condivisione tra noi di una teoria della trasformazione e dello sviluppo umano, ma prima di ogni cosa occorre che il patto educativo diventi simmetrico e mutualmente responsabile.

Tre fattori stanno facendo la differenza: conoscenza, accesso all’apprendimento, condivisione dei risultati dell’apprendimento. Senza questo, nessuna delle nostre strategie sarà mai in grado di alimentare un progetto possibile, non un’azione possibile che miri a rendere un mondo migliore a venire.

Il fattore di missione essenziale è l’apprendimento, lungo tutta la vita, reso possibile e pensato fin dall’inizio per durare e rinnovarsi. Come la vita.

L’apprendimento non è qui pensato per essere una prospettiva positiva perché è moralmente elogiato ed eticamente desiderabile. Il punto sollevato qui è puramente scientifico e si basa su un’ampia e profonda due diligence. Responsabilizzare non significa semplicemente fornire conoscenze certificate. Non significa semplicemente che le persone debbano essere coltivate nel modo più istituzionalizzato e tradizionale di intendere questo termine. Questa è solo una parte di uno spettro di impatto molto più ampio di cosa è entrare in una interazione che ruota attorno alla conoscenza come metodo di riconoscimento e relazione con l’altro.

Vi è in tal senso una serie di prove ovvero di parametri che valgono in senso bilaterale, come vale bilateralmente l’onda che rifrange e riflette da un lato all’altro di una sponda nel mare, fra isole che si rimandano una eco portatrice dei loro rispettivi ed ineliminabili profumi e suoni:

– Il modo in cui le persone si situano nel mondo – autocomprensione cognitiva;
– Il modo in cui le persone sanno di poter accedere a informazioni e conoscenze su argomenti che sono tempestivi e salienti per la propria vita;
– empowerment guidato dal contesto;
– Il modo in cui le persone inquadrano i problemi collettivi – inquadramento cognitivo;
– Il modo in cui le persone imparano a interpretare la comprensione e dare un senso all’alterità – la cognizione dell’empatia;
– Il modo in cui le persone sono sicure di sé sulla loro capacità di ottenere nuove conoscenze.

Questo per incorporare un ideale di una società inclusiva e centrata sul potenziale unico di ogni persona in una prospettiva sostenibile. E in qualche modo ricondurre qui ed ora l’antico ideale di paideia, rimasto da sempre un’ambizione e una realtà. Un processo senza fine attraverso il quale l’umanità si sviluppa, alimenta talenti e potenzialità, esplora le competenze, ottiene l’accesso a nuove nozioni. Paideia non si ferma mai. Nessuno potrà mai ricevere un’istruzione senza essere considerato essenziale come attore sociale. All’interno del nostro ambiente culturale, esprimendoci con le nostre lingue, inquadrando le nostre intuizioni prospettiche nelle nostre esperienze pratiche. Così l’affermazione di Ruth Baden Ginsburg, secondo la quale dobbiamo imparare per il bene delle nostre comunità, e le nostre comunità sono il mondo, riposiziona l’ascolto dell’alterità nel dovere di comprendere il contesto nel quale la interazione del prendersi cura sulla base della conoscenza e della condivisione del conoscere come prendersi cura del nostro essere nel mondo.

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