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Attacco a Kerman. Chi vuol fare esplodere l’Iran?

Di Lorenzo Piccioli e Emanuele Rossi

Il più grande attacco terroristico della storia dell’Iran, nel giorno dell’anniversario della morte di Soleimani, davanti alla tomba del generale. Chi ha ferito la Repubblica islamica nell’intimo dell’orgoglio e del ricordo? Sono credibili le ipotesi sui baluci di Jaish al Adl?

Due esplosioni separate, probabilmente causate dalla detonazione di due ordigni, sono state registrate oggi nella città iraniana di Kerman, dove si trova la tomba del defunto comandante della Quds Force Qassem Soleimani, ucciso da un drone americano mentre viaggiava attraverso le strade di Baghdad il 3 gennaio del 2020. Esattamente quattro anni fa.

E in occasione dell’anniversario della morte di Soleimani, il cimitero dove giace la sua salma era gremito di persone, giunte in pellegrinaggio per ricordare una figura dipinta come eroica, avvolta da un’area epica, dalla propaganda del regime di Teheran. Intimo confidente militare della Guida suprema e non solo comandante del reparto speciale del Corpo dei Guardiani della rivoluzione iraniana, ma anche mente strategica dietro alla creazione del sistema di milizie sciite proxy diffuse nella regione — grande arma di influenza geopolitica della Repubblica islamica.

La manifestazione di oggi è stata trasformata in un’ecatombe dalle due esplosioni, avvenute all’entrata del cimitero dove si trova la lapide di Soleimani. Più di 100 morti confermati, oltre ad almeno 140 feriti. Le autorità iraniane hanno subito definito quanto avvenuto un “attentato terroristico”, nonostante non vi sia ancora stata rivendicazione alcuna. Ma i dubbi sono pochi, la vendetta giurata.

Quello di Kerman è il più grande attacco terroristico registrato in Iran dalla rivoluzione islamica del 1979. Una dimostrazione di debolezza interna per Teheran — di fatto incapace di garantire la sicurezza di un luogo sensibile in un giorno iper sensibile — che per altro arriva in un momento particolare. L’Iran sta gestendo la reazione all’attentato di Hamas e alla guerra di Gaza. Da un lato vuole evitare di finire impelagato in un conflitto diretto, dall’altro sta controllando i proxy (da quello in Siria ai libanesi di Hezbollah fino agli Houthi che incendiano il Mar Rosso) in modo da mantenere un livello di scontro medio-basso e infastidire il nemico israeliano. Il tutto senza intaccare il processo di normalizzazione delle relazione con i rivali del Golfo.

E allora, chi ha attaccato l’Iran? Le due bombe sarebbero state fatte esplodere a distanza di circa venti minuti l’una dall’altra, secondo una tecnica spesso usata dai terroristi per colpire il personale di emergenza che interviene sulla scena e infliggere più danni. Secondo quanto riportato dal ministro degli Interni Ahmad Vahidi, è stato proprio il secondo ordigno a causare la maggior parte delle vittime. Gholam-Hossein Mohseni-Ejei, capo della magistratura iraniana, ha accusato “terroristi mercenari” che sono “lacchè” di “potenze arroganti” per il gesto compiuto. Senza però fornire ulteriori dettagli su chi possa essere l’esecutore, né tantomeno il mandante.

Le ipotesi sono svariate, ma tre le categorie più probabili: un attacco da parte di attori rivali come Israele, ma l’ipotesi è remota nonostante sia citata dalla propaganda del regime iraniano; l’azione di un gruppo terroristico che ha approfittato del momento per sottolineare le debolezze della Repubblica islamica; un false flag compiuto dalle componenti più oltranziste che vorrebbero l’Iran coinvolto direttamente contro Israele.

Fonti regionali che parlano riservatamente e con pochi elementi in mano citano un gruppo qaedista, il Jaish al Adl, che considera gli sciiti takfiri e l’unità militare teocratica a cui apparteneva Soleimani l’espressione massima degli infedeli sciiti. Jaish al Adl, l’Esercito della Giustizia, è spesso chiamato in causa quando succedono eventi del genere in Iran, perché ha già rivendicato attentati in questo decennio di attività come vettore armato della causa separatista del Baluchistan. È solito prendere di mira il Corpo, come quando nel febbraio del 2019 ne uccise 27 membri in un attentato suicida contro un bus vicino al confine pakistano.

Non è chiaro se il gruppo abbia singolarmente le capacità organizzative per un attentato del genere, oppure se abbia fatto affidamento su qualche contatto. In Iran sono nascosti membri di al Qaeda che potrebbero richiedere maggiore attenzione, inoltre in passato, sono state attivate anche cellule dello Stato islamico. Di più: qualcuno potrebbe aver finanziato l’attacco e, come dice Mohseni-Ejei, aver usato i terroristi — che diventerebbero esecutori materiali di un mandante per ora ignoto. Le evoluzioni saranno fondamentali, perché da esse dipendo anche gli equilibri regionali.

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