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Chip, ecco il maxi-piano da 430 miliardi di Seul

La Corea del Sud progetta di diventare la centrale globale di design e produzione dei semiconduttori nei prossimi vent’anni. Per farlo vuole alimentare l’ecosistema nazionale, in concerto con i campioni Samsung e SK Hynix, con un flusso impressionante di denaro privato. Ed essere un attore sempre più fondamentale nell’intreccio di alleanze occidentali

La corsa globale verso la rilevanza nella supply chain dei semiconduttori è appena diventata un po’ più frenetica. Ad accelerare bruscamente, almeno nelle intenzioni, è il sistema-Paese della Corea del Sud. Lunedì il governo ha delineato un piano che prevede un investimento di 622.000 miliardi di won (430 miliardi di euro) da parte del settore privato, per costruire, da qui al 2047, il più grande hub di design e produzione dei chip al mondo.

Quei fondi andranno nella costruzione di tredici nuovi impianti di produzione (che si aggiungerebbero ai ventuno già esistenti) e tre nuove strutture di ricerca. Il tutto nell’area industriale immediatamente a sud di Seul, che dovrebbe diventare la più grande al mondo. Ed è un salto rispetto al piano presentato nel 2023 dal governo coreano, che lavora a strettissimo contatto con i campioni Samsung e SK Hynix. Assieme alle batterie, il settore dei chip è visto come uno dei pilastri essenziali dell’economia nazionale, e già oggi rappresenta il 16% dell’export coreano.

Nel quadro del nuovo piano ventennale, entrambe le aziende costruiranno sul territorio nazionale i loro impianti di chip più sofisticati, racconta Bloomberg. Samsung punta molto sulle fonderie, ovvero la produzione vera e propria dei chip, anche per altre aziende – settore in cui la taiwanese Tsmc è diventata leader globale –, e intende foraggiare il progetto con 500.000 miliardi di won (345 miliardi di euro) entro il 2047.

La più piccola SK Hynix, invece, intende puntare sui chip di memoria con un investimento da 122.000 miliardi di won (oltre 84 miliardi di euro). Ma come Samsung, anche la galassia di piccole aziende di progettazione di chip e materiali che ruoterà attorno alla regione si concentrerà sui chip logici, quelli che servono per il supercalcolo. L’idea è creare un ecosistema integrato e completo in grado di potenziare l’autosufficienza del Paese nel settore, espandendo la quota di mercato della produzione globale di chip (logici) dal 3% odierno al 10% nel 2030.

Tutto questo sarà condito dalle autorità con una dose crescente di agevolazioni fiscali per riuscire a far fronte alla concorrenza globale sempre più agguerrita. In Asia tutte le rivali investono massicciamente nel settore dei semiconduttori. Il governo di Tokyo ha indicato che sovvenzionerà fino a un terzo dei costi sostenuti dai produttori lungo la filiera dei chip che operano sul territorio nazionale (stranieri inclusi). Parimenti, il nuovo governo taiwanese sembra voler seguire lo scorso nel fiancheggiare l’industria nazionale, che funge anche da “scudo di silicio” contro le mire unificatrici della Cina – la quale a sua volta sta riversando oltre 45 miliardi di euro nel proprio settore.

La differenza tra la strategia di Pechino e quella delle altre potenze asiatiche e occidentali (Ue e Usa, loro stesse impegnate a versare decine di miliardi nelle rispettive industrie), è che tutte queste ultime si stanno muovendo con un certo livello di convergenza per aumentare le interconnessioni e limitare l’accesso cinese alle tecnologie di punta. Il potenziamento delle industrie nazionali non esclude (e anzi rafforza) la costruzione di impianti in Paesi alleati, come dimostrano i tentativi di Samsung di aprire una fabbrica in Arizona, i piani paralleli di Tsmc, le mire del titano americano Intel in Europa.

Il tutto avviene mentre gli alleati lavorano per limitare l’accesso cinese a una classe di prodotti che essenzialmente valgono come moltiplicatore di forza economica, ma anche militare. Poter contare su un sistema alleato di industrie in grado di produrre chip più avanzati ha riflessi strategici e geopolitici importanti, che vanno dall’“intelligenza” delle armi alle possibilità di addestrare sistemi di intelligenza artificiale più complessi, senza dimenticare la variabile Taiwan. E in questa ottica, guardando al flusso di investimenti diretti dall’estero, Seul si sta confermando un partner sempre più importante per le capitali dell’Occidente geopolitico.


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