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Vi racconto l’eredità di Delors e Schauble per l’Europa di domani. Scrive Alli

I due esponenti politici recentemente scomparsi, pur proveniendo da due tradizioni ideologiche divergenti, rappresentavano allo stesso modo una cultura politica che oggi è quasi scomparsa. E che l’Europa dovrebbe riscoprire, per il bene del proprio futuro. Sull’onda di questo lascito, l’Europa si appresta oggi ad affrontare un nuovo anno estremamente complesso per le sfide che la attendono, a cominciare dalle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo del prossimo giugno. La riflessione di Paolo Alli

Nei giorni scorsi ci hanno lasciato due protagonisti della storia europea: Jacques Delors e Wolfgang Schauble, personaggi certamente diversi per posizione politica e per il ruolo e le caratteristiche della propria azione.

Delors, proveniente dalla tradizione del cattolicesimo sociale e membro del Partito socialista, è stato l’unico politico ad aver presieduto per tre turni consecutivi la Commissione Europea, dal 1985 al 1995. La sua azione ha favorito la creazione dei pilastri dell’Europa moderna: il mercato unico, la nuova politica agricola comune, l’Atto unico europeo, gli accordi di Schengen e soprattutto il Trattato di Maastricht istitutivo dell’ l’Unione europea. Il suo lavoro per l’unione economica e monetaria ha creato le condizioni per la nascita dell’Euro. Ci lascia, dunque, un’eredità di importanza capitale, propria dei grandi visionari e paragonabile, come portata, a quella dei Padri fondatori dell’Europa.

Schauble, cristiano-democratico, delfino di Helmut Kohl e protagonista indiscusso della politica tedesca come Ministro di Angela Merkel, si collocava politicamente all’interno del popolarismo europeo. Vittima di un grave attentato che lo aveva reso paraplegico, sul piano europeo è più noto per aver rappresentato, anche in modo intransigente, l’alfiere della austerity, con atteggiamenti di grande severità verso i Paesi del sud Europa, cominciando dalla Grecia.

Entrambi hanno, comunque, lasciato un segno importante negli ultimi decenni della costruzione europea, contribuendo a dare alle sue istituzioni un’impronta moderna e coerente, almeno nelle intenzioni.

Sull’onda di questo lascito, l’Europa si appresta oggi ad affrontare un nuovo anno estremamente complesso per le sfide che la attendono, a cominciare dalle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo del prossimo giugno.

Al di là de gli assetti politici che saranno determinati da queste importantissime elezioni, è il contesto globale nel quale l’Europa si colloca oggi a costituire la più grande preoccupazione.

La reazione unitaria e solidale alla pandemia da Covid-19 e all’aggressione russa all’Ucraina ha costituito un sicuro passo in avanti verso l’unione politica dell’Europa. Tuttavia, i dossier aperti impongono alle istituzioni di Bruxelles un ulteriore cambio di marcia.

Su tutti, il conflitto tra Israele e Hamas che, a differenza della guerra in Ucraina, divide profondamente l’opinione pubblica europea e il grande tema dell’allargamento ai Paesi dei Balcani Occidentali, oltre ad Ucraina, Georgia e Moldova. Ma pensiamo anche agli scenari che si aprirebbero nel rapporto transatlantico e con la stessa Nato nel caso di una non impossibile rielezione di Donald Trump a presidente degli Usa, oltre al ruolo per l’Europa nella costruzione di una partnership con l’India, anche in chiave di contenimento dello strapotere geopolitico di Pechino.

Sul fronte interno, oltre al grande tema della difesa comune, lo spettro dell’immigrazione continua ad alimentare pulsioni nazionaliste e isolazioniste, quando il vero problema che si profila all’orizzonte è quello della tenuta sociale dell’Europa, sempre più provata da inflazione, situazioni di crisi, squilibri sociali crescenti, sfiducia nelle istituzioni e nella stessa democrazia.

Tutte situazioni che alimentano le frange populiste dell’opinione pubblica in tutti i Paesi europei.

A mio parere, il populismo è ormai un dato del nostro tempo con il quale dobbiamo fare i conti, e non solo in Europa: basti pensare allo stesso Trump o al nuovo presidente argentino Javier Milei.

Il populismo non può essere combattuto solo sul piano ideologico, accantonandolo come una sorta di cancro del sistema democratico da estirpare: occorre affrontarlo e sconfiggerlo sul piano  dell’azione di governo, disinnescando alla radice le numerose distorsioni che lo alimentano. Le istituzioni e i partiti europei devono mettere in cima alle proprie agende proprio questa battaglia, che richiede capacità di andare oltre gli schieramenti e le ideologie per comprendere a fondo le ragioni dei malesseri che affliggono le nostre stanche società e ad attuare le riforme necessarie per rendere la costruzione europea più adatta ai tempi, efficiente e vicina ai cittadini. A cominciare da quella relativa al principio di unanimità, che troppo spesso rende lenti e inefficienti i processi decisionali sulle grandi questioni, favorendo sempre compromessi al ribasso.

È, ancora una volta, illuminante riandare alle parole di Alcide De Gasperi, del quale nel 2024 ricorrerà il settantesimo anniversario della morte.

Alla Conferenza Interparlamentare di Parigi del 21 aprile 1954, quattro mesi prima di morire, il grande statista tenne uno storico discorso che ricordiamo con lo slogan che lanciò in quella occasione: “La nostra Patria Europa”. Uno slogan che dovremmo stamparci nella mente e nel cuore.

Vale la pena riandare a un paio di passaggi di quel discorso, che sembrano scritti oggi.

“… bisogna riconoscere che la vera e solida garanzia della nostra unione consiste in una idea architettonica che sappia dominare dalla base alla cima, armonizzando le tendenze in una prospettiva di comunanza di vita pacifica ed evolutiva.”

“…nessuna delle tendenze che prevalgono nell’una o l’altra zona della nostra civiltà può pretendere di trasformarsi da sola in idea dominante ed unica dell’architettura e della vitalità della nuova Europa, ma queste tendenze opposte debbono insieme contribuire a creare questa idea e ad alimentarne il libero e progressivo sviluppo”.

Parole profetiche, che indicano la traccia di un lavoro di profonda rivisitazione culturale della politica, non solo per gli addetti ai lavori, ma anche per ciascun cittadino.

Un profondo richiamo ad uscire dall’orticello di casa nostra per entrare con dignità, identità e forza nel grande campo del nostro continente e del mondo.


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