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Petrolio, perché scende il prezzo nonostante il Medio Oriente bollente

Gli impedimenti al traffico nel canale di Suez e l’aumento generale della tensione nella regione non si sta riflettendo sull’oro nero, che si dimostra molto più sensibile al taglio dei prezzi voluto da Riyadh e slitta del 2%. Ecco perché l’aumento della produzione globale e il rallentamento della domanda mettono in ombra le escalation in corso

La settimana si è aperta con il declino del prezzo del petrolio di oltre due punti percentuali, in controtendenza rispetto alle aspettative degli osservatori – che guardano sempre più preoccupati all’aumento delle tensioni nel Medio Oriente. Il motivo sono i forti tagli dei prezzi voluti dall’Arabia Saudita, uniti all’aumento della produzione dell’Opec: elementi abbastanza rilevanti da ridimensionare, e addirittura mettere in ombra, una delle crisi regionali più gravi degli ultimi decenni.

Il ribasso ha fatto seguito alla decisione di Saudi Aramco, la controllata statale, che ha portato il prezzo di vendita ufficiale del greggio Arab Light al livello più basso degli ultimi 27 mesi. Il taglio è stato imponente – il maggiore degli ultimi 13 mesi, nei quali la stessa Riyadh si è adoperata per diminuire la produzione dell’Opec+ e gonfiare il prezzo – e indica che anche il più grande produttore al mondo vede un declino della domanda all’orizzonte.

Scendendo rispettivamente del 2,2% e 2,3% nelle prime ore di lunedì, sia l’indice Brent che il West Texas hanno annullato i rialzi della scorsa settimana, che a loro volta riflettevano la preoccupazione degli operatori di mercato all’intensificarsi del rischio – alimentata dagli attacchi degli Houthi yemeniti alle navi nel Mar Rosso, uno dei canali commerciali più importanti al mondo, oggi epicentro degli scossoni che il conflitto tra Israele e Hamas continua a generare.

Il declino del prezzo del petrolio è ancora più sconcertante considerando che domenica si è fermata la produzione (per cause di forza maggiore) nel più grande giacimento libico, sviluppo che si aggiunge all’apertura dei nuovi fronti di incertezza nel Medio Oriente. In ordine sparso: l’attentato a Kerman, rivendicato dallo Stato Islamico, ma con l’Iran (che fornisce il materiale bellico agli Houthi) che accusa Stati Uniti e Israele di averlo pianificato;  l’assassinio del numero due di Hamas in Libano, nel territorio controllato da Hezbollah, il cui leader promette vendetta; lo scambio di colpi tra forze statunitensi e le milizie sciite in Iraq.

Questi e altri elementi fanno da sfondo alla quarta visita del segretario di Stato Usa Antony Blinken, volta a cercare (con i leader arabi) un modo per evitare che il conflitto si allarghi ulteriormente, mentre Washington guarda preoccupata al Medio Oriente che ribolle e alla scomoda assertività dell’alleato israeliano nel gestire la guerra dentro e attorno alla Striscia di Gaza. Ma con ogni probabilità le mosse degli stessi Stati Uniti – l’aumento sostanziale della propria produzione e l’allentamento delle sanzioni su quella venezuelana – hanno contribuito alla decisione saudita di tagliare i prezzi.

Paradossalmente, dopo mesi in cui Riyadh ha spinto con forza i membri dell’Opec a tagliare la propria produzione (al punto che l’Angola, seconda potenza petrolifera africana, è fuoriuscita dal cartello in protesta con la leadership saudita), anche gli appartenenti al gruppo stanno producendo più greggio. Un sondaggio Reuters di venerdì ha rilevato che la produzione petrolifera Opec – segnatamente quella angolana, nigeriana e irachena – è aumentata nel mese di dicembre, al punto tale da compensare i continui tagli degli altri.

Insomma, i numeri (la disponibilità prevista di petrolio e il rallentamento previsto della domanda) sono abbastanza freddi da resistere ai bollori della regione. “Se dovessimo concentrarci solo sui fondamentali, tra cui l’aumento delle scorte, l’incremento della produzione [Opec e non] e un [prezzo ufficiale di vendita] saudita inferiore alle attese, sarebbe impossibile non essere ribassisti sul greggio”, ha dichiarato Tony Sycamore, analista di IG, alla testata britannica. Avvertendo, però, che non è detto che la tendenza duri per via delle tensioni geopolitiche che stanno “innegabilmente aumentando di nuovo”, motivo per cui il ribasso, secondo lui, “sarà limitato”.

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