Il confronto televisivo è cosa vecchia, che ricorda Berlusconi e l’epopea della seconda Repubblica. La comunicazione oggi è altra, ibrida e pluriversa, e prende strade che la tv non incrocia più. Vedremo le due protagoniste nel faccia a faccia e sembrerà di sbirciare, in una stanca serata d’agosto, techetechete. La rubrica di Pino Pisicchio
Quella scienza ibrida che sta nel mezzo tra politologia e sociologia e che possiamo chiamare massmediologia, psicologia della comunicazione, prossemica o come vi pare, fa nascere il mitologema dei confronti televisivi politici in America. È il 26 settembre del 1960, e per la prima volta i due candidati alla presidenza degli Stati Uniti si confrontano in uno studio televisivo, accettando l’ “additivo” spettacolare, quasi gladiatorio, che fa da condimento al confronto politico, fino a quel momento consentito solo nelle piazze o nei luoghi chiusi.
Nell’arena catodica scesero il giovane di 43 anni, bello e brillante John F. Kennedy, di famiglia ricca e altoborghese, dal Q.I. altissimo, dal curriculum universitario e militare luccicante, vincitore di un premio Pulitzer, portatore di idee nuove e a suo agio davanti a microfoni, telecamere e belle signore. Dall’altra parte Richard Nixon, politico di lungo corso, vice- presidente uscente, visibilmente a disagio davanti alle telecamere, tendente alla sudarella, poco glamour, niente affatto playboy, portatore di barba ispida che tende a crescere visibilmente durante la trasmissione sotto l’occhio impietoso dell’obiettivo.
Sembra molto più vecchio del suo antagonista e in effetti più vecchio è, ma di pochissimo, ha solo 4 anni in più: anni luce dallo scontro tra protagonisti del reparto geriatrico che vedrà quest’anno molto probabilmente Biden contro Trump. Com’è andata a finire lo sanno tutti: vinse il bello e intelligente, seppure di misura sul meno bello e sudacchiato. Gli esperti dicono che se il match fosse stato ascoltato soltanto per radio non avrebbe prodotto lo stesso effetto. Non ne avremo mai la prova, tuttavia la fisicità nel tubo catodico aveva ed il suo perché.
Gennaio 2024, la presidente del consiglio italiano, Giorgia Meloni, sfida ad un duello televisivo la segretaria del maggiore partito dell’opposizione, Elly Schlein, che prontamente accetta. Non è ancora noto il ring sul quale combatteranno, ne’ la data del match, ma sappiamo che sicuramente ci sarà. Il “luogo” mediatico è l’old medium per eccellenza, la tv, che esclude a priori le giovani generazioni ed è ormai diventata un contenitore di palinsesti per ultrasessantenni. Che sono, però, quelli che ancora vanno a votare, fino a quando reggono. Dunque la vecchia tv torna a rappresentare lo spazio pubblico come sessantaquattro anni fa in America.
Solo che protagonisti non sono due quarantenni-destinati entrambi ad essere presidenti degli Stati Uniti- con diseguale glamour e pedigree intellettuale. Abbiamo due donne, novità assoluta per la politica italiana ( e ancora abbastanza infrequente nella politica europea) che, pur partendo da storie personali diverse, possono dichiararsi equivalenti per peso specifico. Certo, il curriculum di Giorgia Meloni è più denso politicamente, più lungo, più pop, più faticato.
Quello di Elly Schlein è più blasonato culturalmente, più internazionale, più da “chiamata” piuttosto che sgomitato con la cazzimma tra i denti. Entrambe, però, sono persone in cui il popolo dei militanti non fa fatica a riconoscersi, perché si può adorare un mito come Kennedy, ma diventa un po’ difficile identificarsi in un semidio. Più facile è condividere la normalità, la gestualità, la parlata, le parole d’ordine di leader dalle sembianze più simili alla gente che trovi per strada.
Corretto è anche l’invito-investitura che Meloni fa alla capa del Pd, egemone nell’opposizione, lanciando così un atout alla sua competitrice nella prospettiva maggioritaria di una sola leader dell’opposizione. Certo, il confronto sarebbe stato forse meno asimmetrico se il competitor della presidente fosse stato Renzi, attrezzatissimo nella polemica televisiva e con un pedigree politico paragonabile a quello della fondatrice di Fratelli d’Italia, oppure Conte, che pare sia rimasto maluccio per la mancata convocazione. Ma pur ammettendo che nel gesto meloniano sia rintracciabile qualche malizia ( “mi scelgo il contraddittorio che più mi aggrada”), non si può negare che gli argomenti per allestire questo match con l’altra leader in favore del pubblico pagante, ci fossero tutti.
Resta però un fatto: il confronto televisivo è cosa vecchia, che ricorda Berlusconi e l’epopea della seconda Repubblica. La comunicazione oggi è altra, ibrida e pluriversa, e prende strade che la tv non incrocia più. Vedremo le due protagoniste nel faccia a faccia e sembrerà di sbirciare, in una stanca serata d’agosto, techetechete.