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Effetto politico no count. Il rischio per il governo e il defibrillatore del bipolarismo

Il “non poter contare” più di tanto da parte di alcuni partiti di maggioranza spingerà questi ultimi a provare a sopravvivere in altra maniera e prospettiva: o cucendo al centro una nuova dimensione per tentare di coniugare tutto il mondo liberaldemocratico, di tradizione popolare, unendo anche i cattolici moderati da destra e da sinistra, oppure opponendosi al premierato da qui in avanti. Il commento di Angelo Lucarella

Il c.d. catch-all-party, un partito “del popolo pigliatutto”, era il motivo di crisi del sistema politico già per Otto Kirchheimer il quale, negli anni sessanta, spiegava come il partito di massa tenda a spostarsi sempre più chiaramente verso la ribalta elettorale (rinunciando ad agire in profondità) e preferendo un più vasto consenso e un immediato successo elettorale.

Questa tendenza, mai superata del tutto nel nostro Paese, nella Prima repubblica fu alimentata dal Partito comunista il quale mirava costantemente ad arrivare al c.d. 51% del consenso elettorale, ma l’astuto Berlinguer spiegò alla sua base che, così facendo, sarebbe finita la democrazia pluralistica.

Nella Seconda repubblica il tentativo di estremizzare il bipolarismo fino a portarlo, di fatto, ad un bipartitismo all’americana fu battezzato da Berlusconi e Fini con la nascita del Popolo della Libertà (Forza Italia + Alleanza Nazionale) per poi essere resuscitato dal Movimento 5 Stelle e poi ancora da Matteo Salvini quando invocò nel 2019 i famosi “pieni poteri”.

Oggi c’è, senz’altro, uno scenario politico diverso; tuttavia c’è una forte similitudine di fondo col passato e con la teoria di Otto Kirchheimer riguardo alla situazione del centrodestra italiano.

La similitudine a cui si fa richiamo è la macchina del bipolarismo. Essa nasconde un retroterra di timori: da una parte la fine del bipolarismo stesso inteso nel senso classico vissuto in epoca berlusconiana; dall’altra parte la crisi cronica di alcuni partiti, ormai, non popolarmente leaderistici oppure leaderisticamente impopolari.

Allora, consideriamo quanto accade ai giorni nostri per tentare di scrutare il futuro: Fratelli d’Italia, nel centrodestra, è sicuramente il partito pilastro della coalizione sia per voti sia perché esprime, con Giorgia Meloni, l’ancoraggio stabile a Palazzo Chigi.

La coalizione di centrodestra è comunque frutto storico ed implicito del berlusconismo. Morto Berlusconi, è difficile immaginare un’altra figura della stessa portata politica in quella che oggi residua come Forza Italia.

Ciò significa che le due caratteristiche che una volta esprimeva Forza Italia stessa, cioè plebiscitarismo (capacità attrattiva delle masse) e mass-mediaticismo (capacità di essere costantemente attrattiva per temi, toni e indirizzamento elettorale) le ha conquistate Giorgia Meloni che è riuscita ad impersonare i due elementi senza essere berlusconiana nello stile e nel metodo.

La conseguenza di tale ascesa comporta, per forza di cose, il ridimensionamento di peso degli alleati di governo proprio perché Berlusconi non c’è più e la prima elezione importante da quando l’ex residente del Consiglio è morto è alle porte: si tratta delle Europee.

Se consideriamo gli ultimi sondaggi (SWG) ci troveremmo difronte a dati di proiezione, in caso di elezioni imminenti, come segue: Fratelli d’Italia quasi al 30%, Lega al 9,1 %, Forza Italia al 7,2% mentre al centro Italia Viva al 3,5% e Azione al 4% e nel centrosinistra M5S al 16,4 e PD al 19,4 %.

Sottotraccia, pertanto, il “non poter contare” più di tanto da parte di alcuni partiti di maggioranza spingerà quest’ultimi a provare a sopravvivere in altra maniera e prospettiva: o cucendo al centro una nuova dimensione per tentare di coniugare tutto il mondo liberaldemocratico, di tradizione popolare, unendo anche i cattolici moderati da destra e da sinistra, ecc. oppure opponendosi al premierato da qui in avanti.

Il motivo della seconda ipotesi è proprio nell’effetto “no count” a cui con il premierato (se dovesse entrare in vigore così com’è la bozza approvata da Palazzo Chigi) si giungerebbe perché, a costo di poter entrare nelle grazie del futuro premier, nei piccoli partiti si auto-alimenterà la sequela di abbandoni e fuoriuscite fino a far crollare la struttura partitica di provenienza stessa. Quindi alla lunga, Forza Italia, Udc, Noi con L’Italia, moderati, ecc. non potranno permettersi un effetto “no count” dovendo far qualcosa per evitare che la riforma vada avanti nel segno del duplice accordo di maggioranza riguardo alle autonomie differenziate (che siglerebbe l’agonia politica definitiva di Forza Italia e altri piccoli partiti in favore della Lega soprattutto tenuto conto di un tema cruciale: sulla questione sanitaria il partito dell’ex cavaliere ha sposato la strategia dell’attenzione nazionale piuttosto che la competitività regionalistica).

Quanto alla prima ipotesi, invece, tutto sta nello scegliere una prospettiva di costruzione e non di sopravvivenza: Forza Italia, Azione, Italia Viva, Udc e moderati solo insieme o in una composizione federativa (una sorta di casa delle libertà 4.0) hanno la chance di essere determinanti nei processi politici di governo, come contenitore moderato largo, per evitare che la polarizzazione costante (su Elly Schlein da una parte e Giorgia Meloni dall’altra) continui incessante. L’unica via per loro, quindi, sarebbe un centro liberaldemocratico e popolare.
Diversamente, l’unico modo per far resuscitare il bipolarismo (ormai finito con la morte di Berlusconi) sarebbe, appunto, approvare il premierato. Una sorta di defibrillatore politico a portata di mano di Giorgia Meloni.


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