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Vi racconto i tre aspetti della rivoluzione digitale che hanno cambiato l’Università

Di Marco Scialdone

Il digitale ha cambiato l’università in modo radicale e irreversibile, portando nuove opportunità ma anche nuove sfide. L’università deve essere in grado di adattarsi al cambiamento e di sfruttare al meglio le potenzialità della tecnologia, per continuare a svolgere la sua missione di produzione e diffusione della conoscenza. L’intervento di Marco Scialdone, docente di Diritto e gestione dei contenuti e servizi digitali, Università Europea di Roma, InnoLawLab – Laboratorio di Diritto dell’innovazione

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Insegnare è sempre stata una delle mie grande passioni, coltivata come tale, senza pretesa altra se non quella di condividere la conoscenza e di imparare a mia volta, perché, come affermato nell’antico brocardo latino, “docendo discimus”.

Ho scelto di insegnare, ma non di seguire la carriera accademica: sono 17 anni che ricopro incarichi come professore a contratto, ho cambiato università e corsi di laurea, ho visto cambiare gli studenti, le loro abitudini, il loro approccio allo studio, sono dovuto cambiare io, di conseguenza.

Sono stato allievo di uno dei padri dell’informatica giuridica in Italia, il prof. Renato Borruso: il mio insegnamento non avrebbe potuto seguire altra traiettoria se non quella dell’intricato ed affascinante rapporto tra diritto e tecnologia, sin dal mio primo corso nel 2007 su digital copyright fino all’attuale incarico all’Università Europea di Roma, dove da 6 anni insegno diritto e gestione dei contenuti e servizi digitali.

Da questa prospettiva, per così dire privilegiata, ho potuto constatare come la rivoluzione digitale abbia cambiato l’università sotto almeno tre profili che qui di seguito proverò ad esporre.

In primo luogo, è cambiato il ruolo del docente che è diventato più un facilitatore che un trasmettitore di conoscenza. Essendosi moltiplicate le fonti di apprendimento, il vero valore aggiunto delle lezioni frontali non sta più nel trasferire nozioni, che potrebbero comunque essere ricavate aliunde, ma nello stimolare un’analisi critica di quanto si legge in Rete o sulle piattaforme sociali e, da qualche mese, di quanto prodotto dai sistemi di intelligenza artificiale generativa.

Questi ultimi rappresentano la sfida più complessa e allo stesso tempo affascinante per i docenti: si ricorderà come ad inizio del 2023, alcune scuole statunitensi imposero un divieto sull’uso di ChatGPT da parte degli studenti, salvo tornare indietro poco dopo, come nel caso della città di New York.

Il proibizionismo sovente ha rappresentato la prima reazione rispetto ad un’innovazione tecnologica dirompente: non sorprende che lo stesso sia capitato e stia capitando con l’intelligenza artificiale generativa. Se, però, non si cede all’umana tentazione della paura dell’ignoto e si guarda al futuro con la passione e l’entusiasmo dei pionieri, possono emergere nuove opportunità in territori inesplorati.

Proprio qualche giorno fa, ad esempio, un importante gruppo universitario italiano ha lanciato il proprio chatbot, addestrato esclusivamente sul materiale che i professori hanno predisposto per i corsi di laurea, che consente agli studenti di approfondire i contenuti delle lezioni e stimolare una maggiore interattività tra docenti e alunni.

Questo ci collega direttamente con il secondo profilo di cambiamento: il digitale ha offerto nuove modalità didattiche, come la formazione a distanza, il blended learning, il flipped classroom, che hanno reso più flessibile e personalizzato l’apprendimento degli studenti. Il digitale ha anche arricchito le risorse didattiche disponibili, come i materiali multimediali, i corsi online aperti e massivi (Mooc), le piattaforme collaborative, che hanno aumentato la varietà e la qualità dell’offerta formativa.

Gli studenti si trovano oggi davanti ad un’offerta formativa poliedrica, fatta di contenuti e servizi online, sia all’interno che all’esterno dell’università che ha finito per influenzarne la capacità di apprendimento. Compito del docente è, allora, quello di stimolare il pensiero critico, la creatività, la risoluzione dei problemi, che sono essenziali per affrontare le sfide del mondo del lavoro.

Terzo e ultimo punto che vorrei toccare in questo mio breve intervento è costituito dall’impatto del digitale sulla regolazione e, conseguentemente, sulla necessità di un continuo aggiornamento dei programmi universitari.

La tendenza registratasi negli ultimi anni è quella di un’Unione Europea che ha deciso di giocare il ruolo di legislatore universale in tema di regolazione dei mercati e servizi digitali. Una tendenza che non sembra volersi arrestare se si guarda al programma di lavoro della Commissione: con specifico riferimento al settore digitale, risulta confermata la volontà di mantenere un ruolo da protagonista nella definizione di standard globali, con iniziative, sia pur di carattere non legislativo, dedicate ai mondi virtuali (“Apart from our continued joint efforts with Member States to deliver on targets under the Digital Decade, we will propose tools on developing open human-centric virtual worlds, such as metaverses. These provide a myriad of possibilities for industries and service sectors, the creative arts and citizens, as well as opportunities to address broader social challenges such as health and smart cities”).

Ecco allora che c’è l’esigenza di lasciare spazio, all’interno dei corsi di laurea in giurisprudenza, ad insegnamenti verticali che sappiano guidare gli studenti alla comprensione delle novità in materia di mercati e servizi digitali, creando altresì appositi profili. Mi sia consentito di citare il profilo in diritto e gestione delle nuove tecnologie dell’Università Europea di Roma, attivo ormai da 6 anni e frutto di una sapiente intuizione: predisporre uno uno spazio di approfondimento ad hoc per lo studio della regolazione del digitale, preparando gli studenti alle nuove professioni in ambito legale.

In conclusione, si può dire che il digitale ha cambiato l’università in modo radicale e irreversibile, portando nuove opportunità ma anche nuove sfide. L’università deve quindi essere in grado di adattarsi al cambiamento e di sfruttare al meglio le potenzialità del digitale, per continuare a svolgere la sua missione di produzione e diffusione della conoscenza.

 

 

 



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