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Sanzioni aggirate via Cina. Così i prodotti occidentali finiscono nelle armi russe

Un’analisi della Kyiv School of Economics mappa la provenienza dei prodotti tecnologici che Mosca impiega nella sua guerra di aggressione contro l’Ucraina. Cresce a dismisura il ruolo della Cina, ma un terzo arriva ancora da Usa, Ue e alleati, anche per via dell’esternalizzazione della produzione e della dipendenza produttiva da Pechino

Nonostante le sanzioni, c’è ancora parecchia tecnologia occidentale nell’equipaggiamento bellico russo. Questa è la cupa conclusione di un’analisi della Kyiv School of Economics, che ha messo sotto la lente d’ingrandimento le attrezzature russe trovate sul campo di battaglia ucraino e considerato quasi cinquecento componenti tecnologiche – semiconduttori, prodotti elettronici e per computer, componentistica per auto e non solo. Il verdetto: nel 2023 oltre un terzo delle importazioni di questo tipo, per un valore di almeno 7,3 miliardi di dollari, proveniva da aziende con base negli Stati Uniti, in Unione Europea, a Taiwan e in altri Stati alleati.

Il motivo principale è che queste componenti sono spesso prodotti in Paesi terzi, molto più restii a far rispettare i controlli alle esportazioni voluti dai Paesi occidentali, rileva il Financial Times. Tra tutte, la componentistica Made in China rappresentava la quota più grande di beni occidentali finiti in Russia (quasi 2 miliardi di dollari). In termini assoluti, è la Cina il maggior fornitore dell’alleato russo con una quota del 41%, che si alza a 59% se si considera il luogo di manifattura e non la bandiera della casa madre.

Che l’asse tecnologico e commerciale tra Pechino e Mosca si stesse rinsaldando era già evidente: certe esportazioni cinesi di prodotti ad alta tecnologia, essenziali per l’industria bellica russa, sono decuplicate dal 2022 al 2023. È una conseguenza delle sanzioni e della perdita di accesso ai fornitori occidentali, che il Cremlino ha compensato rivolgendosi all’“alleato senza limiti” cinese. L’interscambio commerciale generico ha toccato nuove vette nel 2023, e Vladimir Putin si aspetta che cresca ancora del 30% nel 2024.

È sempre più evidente che in quel canale passino anche le componenti occidentali che in Russia non dovrebbero proprio finire. Naturale che la legge statunitense o europea non si applichi nei Paesi terzi dove le aziende esternalizzano la propria produzione. La Cina, negli ultimi decenni, ha attirato sempre più processi produttivi ad alta tecnologia, ma le posizioni politiche e l’assertività militare del regime guidato da Xi Jinping sono il motivo per cui Usa e alleati stanno serrando i ranghi sulle esportazioni di tecnologie critiche.

Washington è la più decisa nel far valere il proprio diritto sui beni prodotti all’estero, anche se i meccanismi legali per esercitare controllo sono “tra i più difficili da usare” appunto perché l’attività di produzione non avviene in patria, ha spiegato Emily Kilcrease del Center for a New American Security a FT. “La Cina è uno dei nostri ambienti di applicazione più difficili”, ha aggiunto. Uno dei motivi per cui le ultime due amministrazioni statunitensi hanno brandito uno strumento più efficace anche all’estero: il sanzionamento di certe aziende e i controlli sulle esportazioni per evitare che i prodotti cadano nelle mani sbagliate, come avvenuto con i chip avanzati e i macchinari per fabbricarli.

Anche dalle parti dell’Ue cresce la convizione che questa soluzione sia inevitabile. Non solo i Paesi Ue hanno fatto cordata con gli Usa per privare la Russia di una vasta serie di prodotti tecnologici, e l’Olanda in particolare si è allineata ai controlli alle esportazioni per i propri macchinari fabbrica-chip, ma durante l’ultimo incontro con Xi i leader europei Ursula von der Leyen e Charles Michel (in uscita) lo hanno avvertito che tredici aziende cinesi dedite all’esportazione di prodotti dual use potrebbero finire nel mirino delle sanzioni europee, se le autorità cinesi mancassero di intervenire. Per ora, la prospettiva di sanzioni secondarie non sembra averle spaventate.

Da parte sua, il presidente statunitense Joe Biden ha emesso a dicembre un executive order che mette nel mirino le banche coinvolte in questo tipo di commercio: da ora Washington può intervenire sulle istituzioni finanziarie “che hanno condotto o facilitato qualsiasi transazione significativa, o fornito qualsiasi servizio, che coinvolga il complesso industriale-militare della Russia”. Nel mentre, però, la rete di procurement russa continua ad avvalersi della triangolazione tramite Paesi terzi per non incorrere nelle sanzioni occidentali. E in un’epoca di crescente securitizzazione dei flussi commerciali, ci si può aspettare che le capitali si muovano per esercitare più controllo sui flussi di rilevanza strategica.



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