Brown, ex Pentagono e intelligence, fa il punto sul caso Zhao suggerendo tre mosse ai servizi segreti americani. Fondamentale, anche, una maggiore condivisione con gli alleati di informazioni su tecniche e metodi di Pechino
Nei giorni scorsi Wenheng Zhao, conosciuto anche come Thomas Zhao, sottufficiale della Marina americana in servizio alla base di Ventura County a Port Hueneme, in California, è stato condannato a 27 mesi di carcere e al pagamento di una multa di 5.500 dollari dopo essersi dichiarato colpevole di associazione a delinquere: aveva raccolto e venduto informazioni militari su un sistema radar alla base di Okinawa a un funzionario dell’intelligence cinese ricevendo quasi 15.000 dollari tra agosto 2021 e maggio 2023, in almeno 14 diversi incontri con il suo handler.
Assieme a lui, ad agosto, era stato incriminato in California un secondo uomo, Jinchao Wei, a processo per violazione della legge sullo spionaggio con l’accusa di aver venduto all’intelligence cinese (non si sa se allo stesso funzionario del caso Zhao) informazioni sulla nave su cui era in servizio (USS Essex) e altre della Marina americana. Sfruttando le autorizzazioni di sicurezza garantitegli dal suo ruolo come macchinista, ha venduto fotografie, video e manuali dell’Essex, di informazioni sugli armamenti della stessa nave e sulle posizioni di altre navi della Marina degli Stati Uniti in cambio di alcune migliaia di dollari.
Entrambi i casi sono stati, dunque, piuttosto conveniente per l’intelligence cinese considerate le informazioni ricevute.
Andrew Brown, nonresident fellow presso l’Indo-Pacific Security Initiative dell’Atlantic Council ed ex funzionari di Pentagono e Intelligence nazionale, ha suggerito tre contromisure per gli Stati Uniti davanti a questi casi. Con una promessa: la risposta “non dovrebbe essere, per esempio, quella di limitare le opportunità per i cittadini stranieri di servire onorevolmente nelle forze armate statunitensi o di adottare misure che potrebbero danneggiare il reclutamento e la fedeltà”.
Primo suggerimento: prevenire è meglio che curare. Ma come? Con la formazione. Il Pentagono “dovrebbe migliorare il suo programma di formazione per la consapevolezza e la segnalazione delle minacce di controspionaggio”, scrive Brown. Secondo: mobilitare gli alleati e i partner a lavorare insieme sul controspionaggio, in particolare condividendo informazioni su obiettivi e metodi dell’intelligence cinese. Nel caso Zhao, l’ufficiale dell’intelligence cinese si sarebbe presentato alla vittima come un ricercatore di economia marittima che aveva bisogno di informazioni per gli investimenti. Terzo: un approccio più olistico alla sicurezza del personale che integri meglio il controspionaggio migliorando l’attuale sistema basato sui nulla osta di sicurezza.
Il tutto tenendo a mente una cosa, avverte Brown: si può e si deve ridurre il rischio, perché eliminarlo è impossibile.