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Dall’Iowa a Davos. Tutto pronto per il ritorno di Trump?

L’ex presidente conquista i caucus dell’Iowa battendo DeSantis e Haley. Il ritiro di Ramaswamy potrebbe portargli i voti necessari a trionfare anche nel New Hampshire chiudendo di fatto la corsa tra i repubblicani. Intanto, i suoi fedelissimi, guidati dal cognato-consigliere Kushner, lavorano al Forum economico mondiale

È stata nel 2000, con George W. Bush, l’ultima volta che il vincitore ai caucus repubblicani dell’Iowa ha conquistato la nomination del partito. In quell’occasione, poi, il candidato conquistò anche la Casa Bianca. Se si esclude un cigno nero, evento per definizione non previsto, questo precedente rappresenta l’unico elemento di speranza per gli sfidanti di Donald Trump, che questa notte ha vinto in Iowa, lì dove nel 2016 arrivò secondo dietro a Ted Cruz e sembrava ben lontano dal conquistare la nomination. L’ex presidente ha ottenuto il 51% dei voti. Trump ha sfondato in tutte le aree sociali, a partire dagli evangelici, con l’unica debolezza delle zone suburbane. Dietro di lui è arrivato Ron DeSantis, governatore della Florida, che con il 21% ha battuto, a sorpresa, Nikky Haley, ex governatrice della Carolina del Sud e ambasciatrice alle Nazioni Unite, fermatasi al 19%. Con il suo misero 8% Vivek Ramaswamy ha deciso di ritirare la candidatura e appoggiare Trump portandogli potenzialmente voti che potrebbe chiudere di fatto la partita già martedì prossimo con le primarie nel New Hampshire, uno Stato che Haley non può permettersi di perdere. Dopo aver perso anche il sostegno dei due senatori repubblicani del suo Stato, Marco Rubio e Rick Scott, che hanno scelto Trump, DeSantis sembra di fatto già fuori dalla corsa.

Che Trump senta già la vittoria in pugno, o che cerchi di rafforzare la sensazione dell’ineluttabilità di essa, lo dimostra il suo discorso: prima i toni concilianti con l’auspicio di unire il Paese in modo bipartisan, poi le congratulazioni a DeSantis e Haley e le lodi alla propria famiglia, infine l’attacco allo sfidante democratico e le promesse per il suo ritorno alla Casa Bianca. Joe Biden è “il peggior presidente della storia americana” oltre che il regista dei processi contro di lui, bollati come “interferenza elettorale”. Parole pronunciate anche in vista del passaggio in tribunale a Manhattan, prima delle primarie nel New Hampshire, per la seconda causa per diffamazione della scrittrice Jean Carroll, dopo averla accusata di aver inventato un assalto sessuale da parte sua. Guardando al suo ritorno alla Casa Bianca, ha ribadito la promessa di “sigillare il confine col Messico contro l’invasione di criminali e terroristi”, attuando “un sistema di deportazioni che non si vede in questo Paese dai tempi di [Dwight] Eisenhower”.

La vittoria di Trump, dopo il successo in Iowa, è argomento di discussione anche al Forum economico mondiale in corso a Davos, in Svizzera. La scorsa settimana Christine Lagarde, a capo della Banca centrale europea, ha detto in pubblico ciò che molti si limitano a pronunciare in privato: altri quattro anni di Trump sarebbero una “minaccia” per l’Europa. Ospite di Bloomberg a Davos, Philipp Hildebrand, vicepresidente di BlackRock, società che gestisce fondi per 9.420 miliardi di dollari, ha sostenuto che Trump rappresenta una preoccupazione “da una prospettiva globalista e atlantista”.

Al forum in Svizzera ci sono alcuni fedelissimi ed ex fedelissimi dell’ex presidente, che nel 2018 si presentò all’evento, primo presidente in carica a farlo, portando il messaggio protezionista “America First” nel cuore della globalizzazione. C’è il cognato Jared Kushner, già consigliere alla Casa Bianca. C’è Gary Cohn, ex capo del Consiglio economico nazionale con un passato in Goldman Sachs. E c’è l’italo-americano Anthony Scaramucci, ex capo della comunicazione alla Casa Bianca e oggi a SkyBridge, impegnato a sostenere chiunque tranne The Donald. I giornali americani sottolineano anche la presenza a Davos di molti rappresentanti delle monarchie del Golfo, tendenzialmente più favorevoli a Trump che a Biden. Un ex funzionario al Tesoro durante l’amministrazione Trump ha spiegato a Politico che l’ex presidente non è chiaramente la scelta preferita dei partecipanti a Davos. Ma le aziende statunitensi sono “consapevoli” della possibilità di un suo ritorno alla Casa Bianca e “potrebbe non essere così negativo come previsto”.

A preoccupare non è tanto un nuovo mandato come quello precedente. Piuttosto è il contesto, che è cambiato. A livello nazionale, Trump deve affrontare i processi e potrebbe minare la tenuta delle istituzioni politicizzando la questione e dando la caccia a chi starebbe orchestrando quelle che lui definisce “interferenze elettorali”. Sul piano globale, invece, ci sono due nuove guerre, in Ucraina e in Medio Oriente. Una situazione che offre all’ex presidente un buon argomento di discussione (“due nuove guerre Biden, nessuna con me”) ma che rappresenta anche un quadro di tensioni strutturali economiche, di filiera e commerciali è molto diverso da quello che del 2017.

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