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I blocchi di Trump contro il multilateralismo di Biden. Quale approccio dopo Usa2024

I due principali candidati alle presidenziali americane propongono approcci diversi per la politica estera di Washington. Ma è probabile che il vincitore dovrà comunque adattarsi alle necessità del pragmatismo. La questione sviscerata durante l’evento “L’America e la leadership mondiale dopo il voto”, tenutosi al Centro Studi Americani. Chi c’era e cosa si è detto

Le elezioni americane previste per il novembre di quest’anno saranno un vero e proprio punto di svolta. L’esito di queste sarà significativo per stabilire quale forma assumerà la politica estera di Washington, che a sua volta giocherà un ruolo importante nell’influenzare la scelta degli elettori americani. Quali sono dunque le prospettive per il futuro del sistema internazionale all’indomani della chiusura delle urne al di là dell’Atlantico?

Proprio su tale questione si è incentrato il dibattito interno all’evento “L’America e la leadership mondiale dopo il voto”, tenutosi al Centro Studi Americani nel pomeriggio del 24 gennaio. Fin dall’inizio emerge subito la centralità degli sviluppi della politica internazionale per gli Stati Uniti in questo particolare momento storico: conflitto in Ucraina, crisi in Medio Oriente e competizione Usa-Cina segnano un punto di rottura con il passato, ed è su questa rottura che andrà rifondato l’ordine internazionale. Sulla base dei diversi approcci promossi da Joe Biden e da Donald Trump, al momento considerati i candidati di punta per l’appuntamento elettorale di quest’autunno. “Da una parte l’ordine liberale globale difeso da Biden, dall’altra c’è la visione trumpiana dei ‘blocchi’, che si discosta dalla tradizione repubblicana classica” commenta Karim Mezran, Resident Senior Fellow del Rafik Hariri Center for the Middle East dell’Atlantic Council, notando però che su determinate questioni entrambi i candidati alle presidenziali seguiranno percorsi molto simili. “Nei confronti della Cina avranno stesso atteggiamento, mentre in Ucraina entrambi si troveranno a dover gestire un ridimensionamento delle pretese di Kyiv. E anche in Medio Oriente i due seguiranno binari paralleli”.

Malgrado le divisioni che caratterizzeranno la campagna elettorale, il prossimo inquilino della Casa Bianca si troverà ad assumere un atteggiamento molto più pragmatico. Rendendo difficile non solo fare delle previsioni, ma anche predire una sorta di continuità. Come d’altronde è già avvenuto con le precedenti amministrazioni, che “hanno smentito tutte le previsioni della vigilia” come ricorda la giornalista Monica Maggioni, “Da un multilateralista come Barack Obama non ci si aspettava un disengagement così forte come quello da lui promosso, segnato dal ritiro dal Medio oriente e dall’assenza americana in Libia. Allo stesso tempo da quel Trump fautore della famosa telefonata a Taiwan, era difficile aspettarsi gli Accordi di Abramo”. Ed è anche difficile fare previsioni certe sul fatto che Biden e Trump siano effettivamente i candidati che si confronteranno in autunno.

Come si posizioneranno dunque gli Stati Uniti nel nuovo ordine internazionale? Secondo Alessandro Colombo, docente di Relazioni Internazionali all’Università degli Studi di Milano, tanto Biden che Trump ritengono che gli Stati Uniti non possano più perseguire il ruolo egemonico come durante “l’epoca d’oro” della presidenza di Bill Clinton. La chiave sta nel trovare la formula giusta per ridurre il proprio impegno senza però perdere credibilità. “La differenza fondamentale è che Biden crede nello strumento multilaterale per mantenere la preminenza di Washington. Trump è invece convinto dell’opposto: crede che tenersi le mani libere sia il modo migliore per reagire al meglio agli sviluppi futuri”.

Colombo si sofferma anche sull’Europa, e sulla sua eventuale reazione al retrenchement statunitense. Il professore denota come non sia affatto detto che un ritiro parziale o totale degli Usa implichi un aumento di assertività e coesione per l’Europa. Anzi, in passato dinamiche simili hanno comportato un aumentato delle tensioni, dovute al bisogno di individuare un nuovo leader in un contesto di interessi interni contrapposti. “La guerra in Ucraina rafforza la tesi dei Paesi centro-settentrionali dell’Europa per cui la sicurezza del continente si gioca a Est; viceversa, la crisi in Medio Oriente conferma la posizione dei Paesi meridionali per cui è a Sud, nel Mediterraneo, che si gioca la partita cruciale. E questa scarsa coesione non aiuta il processo di policy making”.



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