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La smart education passa dalle università telematiche. Miccoli (United) spiega perché

Di Paolo Miccoli

Per il ministero dell’Università e della Ricerca oggi avere un dialogo costruttivo e continuativo con le Università telematiche, il cui contributo alla digitalizzazione del Paese è sotto gli occhi di tutti, è diventato imprescindibile. L’intervento di Paolo Miccoli, presidente di United (Unione Italiana delle Università telematiche e digitali), la prima associazione delle Università digitali italiane, già presidente Anvur

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Lo scorso 8 novembre la Fondazione Einaudi ha presentato i risultati di uno studio il cui titolo aveva una grande potenza evocativa: Le università digitali come fattore di riduzione delle disuguaglianze. Se oggi dovessimo rappresentare in una formula sintetica il contributo più ragguardevole che gli atenei telematici stanno dando in questo momento alla società italiana, niente più del titolo di quello studio lo rappresenterebbe meglio. Già semplicemente il numero di laureati che oggi conseguono il titolo in queste istituzioni (50.726 nel 2022) ha raggiunto negli ultimi tre anni una quota che supera largamente il 10% del totale dei laureati italiani, candidandosi a fornire un contributo significativo al superamento o all’attenuazione di quello scoraggiante fenomeno costituito dal basso numero dei laureati italiani (28,6%), molto inferiore alla media europea (41,6%).

Il rapporto Anvur 2023, presentato lo scorso mese di luglio, testimonia con molta chiarezza come il numero di studenti che hanno conseguito il titolo presso le università telematiche abbia avuto un incremento vorticoso nell’ultimo triennio, tale da porre questi atenei come uno degli assi portanti del sistema della formazione superiore, mascherando in buona parte i risultati abbastanza deludenti conseguiti dagli atenei tradizionali, nel loro complesso, in termini di nuove immatricolazioni.

Basta questo a dare ragione della funzione positiva svolta dalle università digitali? No, perché c’è molto di più; è sufficiente analizzare un po’ più a fondo due fenomeni che caratterizzano, in questa fase, la società italiana: il mismatch occupazionale, con la conseguente necessità di un imprescindibile lifelong learning, e la crescente difficoltà da parte degli studenti di sostenere i costi crescenti di studiare lontano dall’abitazione della famiglia.

Comincerei proprio da questo disagio se non altro per l’ampio risalto dato dai media al fenomeno degli studenti fuori sede. Fenomeno peraltro non nuovo, specialmente nello stridente contrasto fra i due diversi modi di affrontare il tema della frequenza fuori sede, se già l’Istat in uno studio del 2016, evidenziava con molta chiarezza come al crescere del reddito dei genitori aumenta il raggio di spostamento degli studenti: mentre il 75 per cento degli studenti provenienti da famiglie non agiate (reddito medio annuo non superiore a 15 mila euro) ha un raggio di spostamento inferiore agli 85 km, il 75 per cento degli studenti provenienti da famiglie abbienti (reddito pro-capite dei genitori superiore ai 75 mila euro) ha un raggio di spostamento decisamente superiore, pari a circa 160 km.

È evidente dunque come il modo principale per consentire agli studenti meno agiati di conseguire una laurea sia quello di studiare comodamente dal proprio domicilio, tanto più se si è lavoratori studenti e se una frequenza al di fuori della propria residenza risulterebbe semplicemente impossibile. Infatti ancora il rapporto della Fondazione Einaudi ci ricorda come “le università digitali dispongano del personale amministrativo, dei tutors, oltre che una serie di strumenti e servizi (testi scritti delle lezioni, slides, filmati, esercitazioni per autovalutazione, attività di guida e consulenza…), necessari agli studenti per poter organizzare il proprio percorso accademico in base alle proprie esigenze”.

Mismatch occupazionale e lifelong learning

Già il Cnel in un suo comunicato del 2022 aveva evidenziato un fenomeno molto preoccupante: “La criticità del mismatch tra domanda ed offerta di lavoro è un paradosso tipico delle transizioni… L’accelerazione del tempo imposto dalla rivoluzione digitale rende rapidamente obsolete competenze e modelli anche di comunicazione”. L’unica risposta efficace a questa problematica nella formazione è il lifelong learning, sviluppabile peraltro solo all’interno di un percorso di smart education, percorso molto ben definibile nella formula di Bajaji e Sharma (Smart Education with artificial intelligence based determination of learning styles, Procedia Computer Science 2018; 132: 834-842): “Fornire un apprendimento personalizzato, ovunque e in qualsiasi momento… portando l’apprendimento al di fuori delle aule tradizionali”.

Smart education che oggi le Università telematiche sono nella posizione migliore per fornire alla società, realizzando in modo esemplare la finalità di “favorire il rientro degli adulti nei percorsi di istruzione finalizzati ad innalzarne le qualificazioni”, come si legge nel Piano strategico nazionale delle competenze della popolazione adulta (triennio 2021-2023).

Anche l’Unione Europea nella sua raccomandazione del 16/6/2022 spinge a “sostenere l’offerta di opportunità di apprendimento flessibili e accessibili (…) ai giovani e a quanti sono interessati a apprendere nel corso di tutta la vita”. E non a caso da un sondaggio Isw emerge con chiarezza come gli studenti delle università telematiche, che già hanno una posizione lavorativa stabile, realizzano un incremento del loro stipendio mediamente pari all’8%.

Per tutti questi motivi il mondo delle università telematiche, accusato spesso in passato di essere frammentato ed estremamente eterogeneo al suo interno, forte dei risultati straordinari raggiunti globalmente, ha sentito la necessità di darsi una struttura unitaria di rappresentanza costituendo l’Unione Italiana delle Università telematiche e digitali (United), rappresentativa di oltre l’80% degli studenti iscritti.

Oggi per il ministero dell’Università e della Ricerca avere un dialogo costruttivo e continuativo con questo mondo, il cui contributo alla digitalizzazione del Paese è sotto gli occhi di tutti, è diventato imprescindibile. È auspicabile quindi che United possa essere quanto prima ascoltata in quei tavoli tecnici dove si discute l’operatività e il futuro dell’università italiana, di cui gli atenei telematici costituiscono un importante caposaldo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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