L’ex Paese sovietico ha di fatto sospeso la sua adesione al Csto perché la Russia “non ha adempiuto” ai suoi obblighi nel contesto del conflitto con l’Azerbaigian, ha spiegato il premier armeno. Sullo sfondo, la guerra d’Ucraina che indebolisce Putin e l’avvicinamento dell’Azerbaigian all’Occidente
Continua a sfaldarsi l’architettura di sicurezza post-sovietica, con la Russia sempre più assorbita e indebolita dall’invasione dell’Ucraina: chi contava sulle garanzie di sicurezza offerte da Mosca non ci crede più. È il caso dell’Armenia, storicamente nella sfera d’influenza russa, che venerdì ha annunciato una sospensione di fatto della sua adesione all’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva, anche nota come Csto, o l’anti-Nato a trazione russa.
L’organizzazione, ha detto il primo ministro armeno Nikol Pashinyan a France24, “non ha adempiuto ai suoi obblighi di sicurezza nei confronti dell’Armenia”. Il richiamo è all’offensiva lampo di settembre 2023 con cui l’Azerbaigian – che non è membro dell’alleanza a guida russa – ha ripreso il controllo della regione separatista del Nagorno-Karabakh, dopo anni di conflitti e dispute territoriali, provocando l’esodo di circa centomila cittadini di etnia armena.
Il fatto non sarebbe potuto avvenire senza conseguenze, ha continuato Pashinyan, “e la conseguenza è che in pratica abbiamo congelato la nostra partecipazione alla Csto”. L’accusa a Mosca è di non essere intervenuta nel conflitto, arrivando persino a rimuovere le forze di pace che nel 2020 avevano facilitato il raggiungimento della fine delle ostilità.
Anche il motivo è chiaro. Come ricorda Politico, pochi giorni prima del blitzkrieg azero il premier armeno aveva dichiarato che “a seguito degli eventi in Ucraina, le capacità della Russia sono cambiate”, rendendola meno disposta – o capace – di difendere i propri partner. L’Armenia, che aveva espresso la sua opposizione all’invasione russa dell’Ucraina, adesso sta lavorando con l’Unione europea e gli Stati Uniti per realizzare una serie di riforme e rafforzare le proprie credenziali democratiche, aveva aggiunto Pashinyan.
Poche ore dopo il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha ribattuto che Yerevan non ha presentato alcuna notifica ufficiale della decisione. “È molto importante capire i dettagli, e speriamo che i nostri amici armeni ci spieghino tutto”, ha dichiarato, specificando alla Tass che il presidente russo Vladimir Putin non ha parlato con il premier armeno della decisione e che al momento non si prevedono contatti del genere.
Al momento l’Armenia ospita sia una missione di frontiera europea, sia una base militare russa e migliaia di truppe russe, che controllano anche i confini del Paese. Ma “si tratta di un quadro giuridico-contrattuale completamente diverso” rispetto all’appartenenza dell’Armenia alla Csto, ha specificato Pashinyan. A un reporter che gli ha chiesto se avesse intenzione di chiudere la base militare russa ha risposto che “al momento non è il caso”.
I segnali, però, sono chiarissimi. Nella giornata di giovedì Sébastien Lecornu è diventato il primo ministro francese delle Forze armate a visitare l’Armenia, annunciando un pacchetto di aiuti militari e nuovi accordi (Politico parla di negoziati in corso sull’acquisto di missili Mistral a corto raggio). La Francia, patria di un’importante comunità armena, si è presentata come mediatrice nel conflitto tra Armenia e Azerbaigian; mercoledì il presidente francese Emmanuel Macron ha ricevuto Pashinyan a Parigi ed espresso preoccupazione per il rischio di escalation.
La situazione resta instabile. La scorsa settimana quattro soldati armeni sono rimasti uccisi durante una schermaglia con le forze azere al confine, e il premier armeno ha avvertito che Baku – più ricca, meglio armata e sostenuta da Ankara – si starebbe preparando a una “guerra su larga scala” per tentare di collegare con la forza l’enclave azera di Nakhchivan, separata dall’Azerbaigian da una regione dell’Armenia meridionale. L’Occidente, specie la Francia, seguono da vicino gli sviluppi; quello che è certo è che Yerevan non sembra più volersi rivolgere a Mosca.