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Carlson intervista Putin e manda in onda l’infowar russa

Di Gabriele Carrer ed Emanuele Rossi

Carlson rivendica di essere l’unico giornalista occidentale che vuol raccontare la verità di Putin, ma il Cremlino lo sceglie per le sue posizioni amichevoli e lo sfrutta per spingere l’infowar russa (per altro in un momento importante per la guerra Ucraina)

Verrà pubblicata stasera, quando sulla costa occidentale degli Stati Uniti saranno le 18 (la mezzanotte italiana), l’intervista di Tucker Carlson, ex volto di Fox News e fermo sostenitore di Donald Trump, con il presidente russo Vladimir Putin. L’intervista è stata realizzata martedì, la scelta del giorno è probabilmente frutto di processi di editing e revisioni varie, mentre l’ora è funzionale a ricevere ascolto in un orario tattico per il suo “Tucker Carlson Network”, piattaforma streaming da 72 dollari all’anno che l’anchorman sta lanciando.

È la prima intervista che il leader russo concede ai media occidentali dopo quasi due anni dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina. “Non serve un’altra intervista per capire la brutalità di Putin”, ha ribattuto la Casa Bianca tramite John Kirby, capo delle comunicazioni strategiche del Consiglio per la sicurezza nazionale.

Il momento è critico: l’unico possibile game-changer nel conflitto sembra poter essere uno stop degli aiuti militari americani all’Ucraina e i repubblicani, spinti da Trump, si stanno mettendo di traverso. Il Grand Old Party è spaccato. L’ex deputato Adam Kinzinger, uno che ha lasciato il Congresso dopo l’ondata trumpiana, ha definito il giornalista un “traditore”. La trumpianissina deputata Marjorie Taylor Greene, invece, ha commentato utilizzando parole che fotografano la polarizzazione americana: “I democratici e i loro propagandisti sono in preda al panico di fronte al fatto che Tucker Carlson intervisti Putin”.

E in questo contesto, Carlson ha fatto un vanto dell’esclusiva, tentando di dipingersi come l’unico giornalista americano con la schiena dritta e rivolgendosi – lui, ma anche Putin – a un bacino elettorale americano scettico verso il sostegno americano all’Ucraina e, come lui e Trump, solido verso Putin e la sua difesa dei “valori tradizionali”, come l’opporsi ai diritti Lgbtq+.

Le mancanze dei colleghi americani, ha spiegato Carlson, sono la ragione per la quale “gli americani non sono informati sulla guerra” in Ucraina. “Non hanno idea di cosa stia succedendo, ma dovrebbero sapere il motivo per cui stanno pagando”. Il riferimento è ai miliardi di dollari che il governo americano ha dato finora all’Ucraina per contrastare l’invasione russa.

A questa narrazione ha contribuito il Cremlino – che i giornalisti occidentali, li limita e addirittura li rinchiude in carcere come accade con Evan Gershkovich del Wall Street Journal, dietro le sbarre da oltre dieci mesi con l’accusa di spionaggio. Il portavoce della presidenza russa, Dmitri Peskov, ha spiegato che Carlson ha ottenuto l’intervista con Putin grazie al suo approccio che “non è in alcun modo filo-russo, non è filo-ucraino” ma è “filo-americano”. “Quando si tratta dei Paesi dell’Occidente collettivo, i grandi network media, i canali televisivi e i grandi giornali non possono in alcun modo vantarsi di cercare di apparire almeno imparziali in termini di copertura”, ha aggiunto durante il punto con la stampa di mercoledì. Vladimir Solovyov, uno dei propagandisti di punta del Cremlino, ha anticipato che l’intervista di Carlson “sfonderà il muro e la narrativa dell’invasione brutale e non provocata dell’Ucraina da parte di Putin”.

Ma Carlson non fa niente di eccezionale. Fa quello che altri giornalisti hanno cercato di fare ma che è stato impedito dal Cremlino, ossia intervistare il leader russo. Lo raccontano altri giornalisti di calibro internazionale come Christiane Amanpour dell’emittente americana CNN e Steve Rosenberg della britannica BBC, tra coloro che hanno chiesto la possibilità di Internet di intervistare il presidente russo senza successo.

Carson non è Oriana Fallaci che si toglie il velo davanti all’ayatollah Ruhollah Khomeini. Perfino Peskov l’ha dovuto correggere spiegando che “riceviamo molte richieste di interviste con il presidente” e aggiungendo che i giornali e le reti televisive occidentali “non possono vantare tentativi di sembrare imparziali in termini di copertura di ciò che sta accadendo” e che “non c’è alcun desiderio di comunicare con tali media”.

Carson è piuttosto portatore di un racconto mai troppo severo con la Russia. È colui che saluta con “spaziba” l’impiegato della catena di fast-food che ha sostituito McDonald’s dopo l’invasione russa. È il simbolo, come i panini di Vkousno i totchka, di Mosca che resiste alle sanzioni internazionali combattendo la globalizzazione americano-centrica. E il tutto accade a favor delle telecamere ovviamente russe, che l’hanno accompagnato per tutta la sua permanenza a Mosca celebrandolo come una star.

Dopo la notizia della visita e dell’intervista di Carlson, si è diffusa la voce di ipotesi di sanzioni contro di lui da parte dell’Unione europea. Un’ipotesi che alcuni eurodeputati chiedono di valutare, come riporta la testata americana Newsweek (non certo un giornale di riferimento quando si tratta di questioni europee). Ma che appare abbastanza remota.

Tuttavia, l’ipotesi è bastata per scatenare una levata di scudi a difesa di Carlson e contro l’Unione europea a poche settimane dal voto per il rinnovo del Parlamento europeo. “Non vi disturbate a provarci. Non permetteremo che accada”, ha scritto Balasz Orbán, consigliere politico del premier ungherese Viktor Orbán, su X. E il proprietario di X, Elon Musk, ha dichiarato, dopo aver assicurato copertura all’intervista (forse dimenticando che X, già Twitter, è tra le piattaforme vietate in Russia) che sarebbe “preoccupante” se ciò accadesse.

L’obiettivo di questa operazione di infowar e di guerra ibrida – la visita, il colloquio e il contorno – appare chiaro. Riassume il New York Times: “L’intervista potrebbe infiammare le divisioni politiche sull’Ucraina all’interno degli Stati Uniti, soprattutto se Putin dovesse segnalare di essere aperto a una fine negoziata della guerra”. E a prescindere dalla credibilità di questa apertura e dall’alta probabilità che un negoziato con Mosca preveda la perdita di territori da parte dell’Ucraina, cioè un riconoscimento del successo dell’aggressione russa contro la stessa Ucraina e contro il diritto internazionale.

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