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Molto verde, profondo rosso. L’azzardo di Pechino dietro alla sua accelerazione green

Due quinti del Pil cinese sono legati alle industrie della transizione, che continuano a macinare record impressionanti (tra capacità rinnovabile installata e prodotti greentech venduti) ma godono ancora del supporto multiforme del Partito-Stato. Tra l’aumento del protezionismo all’estero, le crisi economiche interne e la fiducia dei consumatori ai minimi, il modello cinese sarà ancora sostenibile?

Tra i numeri più incredibili a uscire dalla Cina nel 2023 spiccano quelli sulla filiera verde. Secondo il rapporto Renewables 2023 dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), il gigante asiatico ha commissionato tanta capacità di generazione di energia solare quanto il resto del mondo nel 2022 e installato tre quarti di quella globale nel 2023. Il solare cinese è cresciuto del 63% anno su anno, quello eolico del 66%. Tutto in linea con l’aspettativa che Pechino aggiunga quasi il 60% della nuova capacità rinnovabile globale al 2028, in virtù della sua potenza economica e demografica.

Il rapporto evidenzia come la diffusione di eolico e fotovoltaico stia accelerando nonostante la graduale eliminazione dei sussidi nazionali tra il 2020 e il 2021. Merito dell’“attrattività economica di queste tecnologie” e dei “contesti politici favorevoli” che garantiscono contratti a lungo termine. L’Iea prevede che la Cina raggiungerà nel 2024, con sei anni di anticipo, il suo obiettivo nazionale per le installazione di solare ed eolico – un risultato impressionante anche considerando che questi obiettivi sono molto meno ambiziosi di quelli occidentali e prevedono il picco di emissioni al 2030.

Sono ottime notizie per il clima e anche per l’economia cinese. Forse fin troppo buone, perché non è detto che questo boom di rinnovabili sia sostenibile. Tra rinnovabili, batterie e veicoli elettrici, il contributo della filiera green all’economia cinese è aumentato del 30% rispetto al 2022, toccando 1,6 mila miliardi di dollari e aggiungendo 2,2% al Pil cinese nel 2023, rileva Bloomberg. In altre parole, due quinti della crescita totale cinese sono legati al settore verde, senza il quale la Cina sarebbe cresciuta solo del 3% l’anno scorso. E non è certo tutto merito dell’industria cinese, anzi: stando al Centro finlandese di ricerca sull’energia e l’aria pulita (Crea), nel 2023 il Partito-Stato ha versato 890 miliardi di dollari nelle infrastrutture per le energie rinnovabili – più o meno quanto il pianeta ha speso per l’approvvigionamento di petrolio.

E se la potenza del campione green globale fosse, in fin dei conti, troppo artificiale?

La prova del nove: se questa accelerata impressionante avrà modo di continuare in un contesto economico molto più avverso. Vero, Pechino ha ancora una presa ferrea sul comparto delle materie prime e può garantire accesso, probabilmente molto favorevole, alle industrie greentech cinesi. Materiali e linee di credito, perché anche le banche seguono le direttive del Partito comunista. Questi sono alcuni degli elementi che Bruxelles ha preso in considerazione lanciando la sua indagine anti-dumping sulle auto elettriche cinesi, cosa che potrebbe tradursi in dazi europei per correggere le distorsioni di mercato già nei prossimi mesi.

La prospettiva è tetra per la Cina, che vede l’export come l’architrave della sua strategia economica. Le autorità si sono da poco mosse per iniziare a controllare la sovrapproduzione sfrenata che spaventa, e suscita tendenze protezionistiche, ai Paesi terzi. Se da una parte il fortissimo sostegno del Partito-Stato al comparto verde ha consentito di abbattere significativamente i costi di prodotti essenziali per la transizione verde, come pannelli solari e auto elettriche, è anche vero che nello scorso decennio l’inondazione di pannelli sottocosto ha distrutto la filiera occidentale mandando fuori mercato i produttori. Oggi sono gli automaker europei a temere lo stesso destino, e Bruxelles sembra intenzionata a non ripetere l’esperienza.

Quello che accade in Ue accade anche altrove nel mondo (spiccano Usa e India, ma anche Australia, Giappone…) e sta spingendo il governo cinese alla cautela sui sussidi – cosa che fa contemplare ai produttori cinesi la possibilità di un futuro in cui le loro prospettive di esportazione saranno fortemente limitate, sia da dentro che da fuori. Questa preoccupazione alimenta la spinta di Xi Jinping per riorientare parte dell’economia cinese verso il mercato interno. Peccato che la fiducia dei consumatori non si sia mai ripresa dal periodo zero-Covid, e la paura stia ingigantendo i problemi che attanagliano l’economia nazionale, dalla penuria di capitali esteri alle profonde crisi nei settori dell’immobiliare e del credito.

Gli economisti concordano sul fatto che i consumi debbano subentrare agli investimenti affinché la crescita del settore green rimanga sostenibile. Ma la fiducia delle famiglie rimane debole, e lo stesso inizia a valere anche per le industrie in questione. L’eccesso di produzione sta già pesando, e molto, sul mondo dell’auto elettrica (dove nel 2023 si è scatenata una brutale guerra dei prezzi tra i produttori) e dei pannelli solari, che vedono margini di profitto sempre più risicati. Alcune aziende del settore solare stanno già rallentando l’espansione, riporta Reuters, mentre nelle città come Hefei, diventate poli produttivi di auto elettriche grazie alla spinta di Pechino, c’è aria di crisi. Del resto, c’è un limite all’assorbimento dei prodotti anche nel mercato interno.



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