La discussione è destinata a rimanere marginale finché non si offrirà, alle legittime preoccupazioni dei governi, una risposta seria nell’immediato. E l’unica risposta possibile parte dalla Nato. L’analisi di Federico Castiglioni, ricercatore nel programma “Ue, politica e istituzioni” dell’Istituto Affari Internazionali
Negli ultimi giorni, le dichiarazioni dell’ex presidente statunitense Donald Trump sulla Nato hanno scosso l’opinione pubblica in Europa. Durante un discorso elettorale a Conway, in Carolina del Sud, il tycoon ha fatto intendere che la difesa militare garantita dall’articolo 5 dell’Alleanza Atlantica con lui alla Casa Bianca non sarebbe più accordata automaticamente agli alleati ma diverrebbe soggetta a un semplice criterio: chi investe in difesa (raggiungendo il celebre 2% del prodotto interno lordo) meriterebbe l’aiuto americano, mentre gli altri ne sarebbero esclusi.
Il vecchio e forse futuro inquilino della Casa Bianca ha così agitato uno spettro che dalla Seconda guerra mondiale a oggi aleggia sull’Europa, ossia l’incertezza di un pieno coinvolgimento americano in caso di invasione del continente. Da questa parte dell’Atlantico le reazioni dei governi sono state preoccupate, ma nel complesso poco serie. C’è stato chi, come il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il primo ministro polacco Donald Tusk, ha condannato le dichiarazioni di Trump, per poi concentrarsi però sulla parte costruttiva del messaggio, ossia l’appello rivolto agli alleati europei di raggiungere il 2% al più presto. Su una linea ancora più decisa il primo ministro estone Kaja Kallas, che ha definito la provocazione di Trump una salutare “sveglia per l’Europa” che dovrebbe iniziare a prendere sul serio gli investimenti per la Nato. C’è poi stato chi, come Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha provato a ridimensionare le dichiarazioni, definendole semplice propaganda elettorale. C’è infine chi, come il governo italiano per bocca di Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, ha gettato il cuore oltre l’ostacolo parlando della necessità di un esercito europeo; un appello complementare a quello del presidente francese Emmanuel Macron che ha spronato (nuovamente) gli Stati membri dell’Unione europea costruire un “pilastro europeo” della Nato. In generale, sembra che le consultazioni del “triangolo di Weimar” tra Francia, Germania e Polonia siano state la reazione più seria e strutturata ai messaggi provenienti da Washington, con lo scopo di rassicurare i Paesi che si sentono più esposti nei confronti della Russia sull’esistenza di un “nucleo di difesa” europeo, che però al momento è volontario e non strutturato. Il dibattito su una difesa europea, ancor prima di partire, si è già arenato.
Questo è poco sorprendente per una serie di ragioni che giova ricordare. Il primo problema, si sa, è il problema di compatibilità tra una difesa europea e la Nato. Se avessimo due strutture parallele dovremmo non solo creare una duplicazione di tutte le gerarchie di comando, ma anche destinare una parte dei fondi per la difesa attualmente spesi per esercitazioni o attività Nato a favore di una difesa europea. Il secondo problema è la quantità di risorse a disposizione in caso di conflitto. Infatti, mentre tutti si concentrano sul preponderante ruolo degli Stati Uniti nell’Alleanza, nessuno considera che ci sono nella Nato nazioni come il Regno Unito o la Turchia che non sono parte dell’Unione europea ma possono attuare una notevole deterrenza, politica e militare. C’è poi il terzo problema di fondo, che si pone dagli anni Cinquanta, che è quello dell’ombrello nucleare. Ovviamente gli europei non vogliono sentire questa parola, ragion per cui gli esperti si permettono a malapena di sussurrarla, ma la Russia (così come la Cina) sono potenze con grandi arsenali nucleari, mentre l’Europa sembra terrorizzata persino dall’uso civile dell’energia atomica, senza parlare della costruzione di ordigni militari. Al momento tra gli Stati membri dell’Unione europea solo la Francia possiede questo genere di armi, e in una quantità così limitata e con una dottrina strategica così poco chiara che nessun governo europeo potrebbe fare affidamento su questo ombrello protettivo, anche se il governo francese dichiarasse apertamente di essere disponibile a usare questi vettori per proteggere gli altri membri dell’Unione europea (chiarezza, tra l’altro, che non c’è e non c’è mai stata).
Dopo le parole di Trump, i sostenitori di una difesa europea hanno giustamente gioco facile a chiedere un’alternativa alla Nato, confortati anche da molti studi che ipotizzano i benefici di una forza armata europea (a partire da un risparmio complessivo e un’efficienza maggiore). Gran parte di questo beneficio dal punto di vista economico e tecnologico viene dallo sviluppo e acquisto di armamenti europei comuni; una possibilità che c’entra poco o nulla con la Nato e che non richiede nessuna revisione dei Trattati ma solo determinazione politica.
Tuttavia, i governi europei su questa partita non sono interessati tanto dai numeri, quanto dalle implicazioni politiche e strategiche. Politicamente, nessun capo di Stato europeo oggi si distanzierebbe volontariamente dalla Nato e quindi l’opzione “europea” per la difesa rimane una scelta che l’Europa potrà forse subire, ma solo se spinta da eventi eccezionali. Sul breve periodo, il vuoto lasciato dalla Nato potrebbe infatti essere riempito solo da una struttura difensiva nel complesso più debole e meno efficiente dell’Alleanza; scartata l’ipotesi di un esercito europeo, il quale è ovviamente impossibile nel breve periodo senza una politica estera comune, rimane la possibilità di un’alleanza a comando dell’Unione europea e basata sul contributo di eserciti nazionali e un controllo unificato, proprio come la Nato. Questo presupposto ci porta alle implicazioni strategiche, che sono appunto la mancanza di deterrenza nucleare europea e il necessario coinvolgimento degli alleati euro-mediterranei della Nato in un nuovo equilibrio di sicurezza continentale. Sia il piano politico sia quello strategico spingono gli europei a un sostanziale immobilismo e alla speranza che questo momento di crisi transatlantica passi, come è stato atre volte nella storia.
Il dibattito sulla difesa europea è destinato a rimanere marginale e inutile finché se non si offriranno alle legittime preoccupazioni dei governi (soprattutto quelli che si sentono più minacciati) una risposta seria nell’immediato e non fatta da piani fumosi e ambiziosi. E l’unica risposta possibile, a oggi, non parte dall’Unione europea ma necessariamente dalla Nato. Questa soluzione porta alla creazione di un pilastro europeo dell’Alleanza Atlantica, che possa coinvolgere l’Unione europea ma lasci spazio agli alleati extra-Ue, in primis il governo di Londra. La strada del pilastro europeo, sostenuta tra l’altro dalla Francia, non rappresenta di certo la svolta epocale auspicata dai più europeisti, ma ha il vantaggio di essere pratica, di offrire risposte sul breve periodo e di poter iniziare a responsabilizzare le istituzioni europee in un settore nuovo come la difesa. Questa “Nato europea”, nel caso in cui gli eventi ci forzassero ad attivarla “distaccandola” dagli Stati Uniti, sarebbe (non facciamo illusioni) indubbiamente più debole della Nato e offrirebbe meno garanzie, a partire dall’ombrello atomico.
Tuttavia, nel caso in cui dovessimo fare di necessità virtù, sarà meglio avere questa struttura come “piano B” che lasciare in pericolo popoli europei amici e alleati, che siano a Est o nel Mediterraneo. In questo quadro, per la serietà del dibattito, quello che si dovrebbe evitare è usare strumentalmente le parole di Trump per prendere in giro i cittadini europei. Non c’è infatti nessuno scenario possibile in cui si crei una “Nato europea” (che dovrebbe essere abbastanza efficiente da proteggere il continente senza gli Stati Uniti) e spendere meno del 2% in difesa attualmente chiesto da Washington. Allo stesso modo, non c’è nessun mondo possibile in cui l’Europa si possa difendere da sola senza almeno considerare la minaccia nucleare come un’opzione sul tavolo. Da ultimo e forse ancora più importante, non c’è nessuna possibilità che gli europei si difendano da soli se manca la volontà di sacrificarsi gli uni per gli altri in nome di una solidarietà tra popoli e non solo tra governi alleati.