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Come contrastare le fake news russe? Risponde Cormac (Nottingham)

Mosca sta adottando sempre lo stesso approccio: volume e ritmo alti per seminare dubbi su ciò che l’Occidente e l’Ucraina stanno dicendo, spiega l’esperto di “covert action” e “secret statecraft” dell’Università di Nottingham

La disinformazione russa non è cambiata molto da due anni a questa parte, ovvero dall’inizio dell’aggressione dell’Ucraina. Ne è convinto Rory Cormac, professore di Relazioni internazionali dell’Università di Nottingham, esperto di covert action e secret statecraft, autore di “How To Stage A Coup” (Atlantic Books).

Che cosa non è cambiato in questi due anni?

La Russia sta adottando lo stesso approccio che aveva adottato prima della guerra: alto volume, alto ritmo e molte narrazioni, per vedere cosa funziona con l’obiettivo di minare le narrazioni occidentali e di seminare dubbi su ciò che l’Occidente e l’Ucraina stanno dicendo. L’abbiamo visto nei giorni scorsi con il ritrovamento del cadavere del pilota russo disertore in Spagna.

In che modo?

La linea russa è stata subito quella di dire che l’Ucraina aveva organizzato tutto, che era un finto martire. È esattamente la stessa linea che avrebbe usato due anni fa e che ha usato per rispondere alle accuse di omicidio di Aleksandr Litvinenko e di tentato omicidio di Sergey Skripal e della figlia Yulia. Credo ci sia molta continuità, a differenza per esempio di quello che accade nello spionaggio russo, che è stato colto di sorpresa dalla reazione dell’intelligence occidentale dal 2022.

Questa settimana l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, capo di stato maggiore della Difesa italiano e prossimo presidente del Comitato militare Nato ha dichiarato che stiamo assistendo “all’intensificarsi di una strategia di disinformazione russa che vede impegnato in prima fila lo stesso Putin”. È una novità?

Non credo sia qualcosa di particolarmente nuovo. Nel Regno Unito usiamo l’espressione “firehose of falsehoods” (fiume di falsità), a cui siamo stati abituati dalla Russia negli ultimi dieci anni. Forse sta tornando in auge.

Il Covid-19 è stato un laboratorio di disinformazione per la Russia ma anche per la Cina?

Credo che gli Stati si osservino e imparino gli uni dagli altri, anche senza cooperare attivamente tra loro. Durante il Covid-19 abbiamo visto narrazioni russe, cinesi e iraniane cercare di minare la fiducia nei vaccini prodotti in Occidente, sfruttando e amplificando qualsiasi storia su effetti collaterali o altro. Una delle lezioni che hanno appreso è che è possibile sfruttare la sfiducia, le paure o le cospirazioni esistenti e amplificarle per creare confusione e intaccare la narrazione delle autorità occidentali.

Che rapporto c’è tra disinformazione e minaccia ibrida?

La disinformazione è una delle tanti attività statali che potremmo definire guerra ibrida. La disinformazione non può operare da sola, non ha grandi effetti di per sé. È piuttosto un moltiplicatore di forze: aiuta altri strumenti, sia palesi sia occulti, ad avere il massimo impatto possibile, preparando il terreno o distraendo le persone o amplificando certe cose. Uno dei problemi per quanto riguarda la disinformazione è che spesso la si analizza come se fosse un elemento a sé stante.

Come possono le società occidentali affrontare la disinformazione?

L’intera società ha una responsabilità importante e i politici dovrebbero essere in prima linea nella ricerca di soluzioni a lungo termine. Se vogliamo essere resilienti, bisogna partire dall’istruzione, dal settore privato, ma anche dal governo che deve dimostrare la sua leadership.

Come?

I governi devono agire da esempio, adottando politiche basate sui fatti e sulla verità, evitando di mentire, esagerare o alimentare divisioni all’interno della società. Abbiamo assistito a ciò nel Regno Unito, quando alcuni giornali hanno definito i giudici nemici del popolo. Dobbiamo allontanarci da questa retorica pericolosa, poiché è ciò che sfruttano gli Stati ostili.

Alla base di tutto ciò c’è la fiducia verso lo Stato?

È un elemento estremamente importante. Gli attori della disinformazione sfruttano le mancanza di fiducia dell’opinione pubblica nei confronti del governo e della società civile. L’opinione pubblica ha bisogno di fiducia, di un approccio bipartisan per contrastare questo fenomeno. È un problema se l’opinione pubblica teme che i governi utilizzino la retorica della disinformazione e della controinformazione per promuovere interessi politici.

Nei giorni scorsi si è parlato di Portal Kombat, la rete russa che diffonde propaganda e disinformazione in Europa occidentale. A rivelarne l’esistenza è stata Viginum, agenzia francese aperta nel 2021 per il contrasto alle ingerenze. Strutture come Viginum possono essere la soluzione alla disinformazione?

Possono giocare un ruolo importante nell’individuare reti simili, anche lavorando a stretto contatto con le piattaforme media per assicurarsi che vengano eliminate in modo tempestivo. Ma ci sono dei limiti, in quanto queste agenzie lavorano prevalentemente in maniera reattiva. Inoltre, corrono il rischio di venire politicizzate se si presentano come agenzie sulla disinformazione. I critici sono pronti ad accusarle di voler essere arbitri della verità, di essere di parte. L’abbiamo visto con Nina Jankowicz, che è stata per meno di un mese nel 2022 a capo del Consiglio per la governance della disinformazione del dipartimento della Sicurezza interna degli Stati Uniti, ed era diventata una sorta di parafulmine per le varie teorie sul deep-state. Trovare questo equilibrio è difficile.


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