È innegabile un’attenuazione, nel sentire comune, del ruolo (formativo e culturale) dell’insegnante, figura basilare, accanto alla famiglia, nella crescita dei giovani. La riflessione di Vito Tenore, presidente di Sezione della Corte dei Conti, docente Sna e studioso di Diritto scolastico
Negli ultimi anni, va sottolineata l’innegabile rilevante crescita di contenziosi innanzi al giudice amministrativo avverso le sanzioni disciplinari inflitte dagli organi scolastici ad alunni violenti o ineducati, segno, sul piano sociologico e “(dis)educativo”, di diversi mutamenti intervenuti nella società, Vediamone alcuni.
a) Innanzitutto, una palpabile incrementata “vivacità” espressiva e comportamentale dei giovani in qualsiasi contesto, compreso quello scolastico, a causa di mutamenti della società e dei suoi modelli etico-comportamentali (sovente desunti da TV, videogiochi, ed Internet senza filtro alcuno). Secondariamente, una diffusa abdicazione genitoriale nell’impartire regole e sanzioni domestiche oltre a un vuoto nel trasmettere ai propri figli il rispetto dell’autorità in generale (e dunque anche di quella scolastica). Tale assenza genitoriale porta, a mio avviso, i giovani ad una mancanza di rispetto dell’autorità scolastica, la quale ha, purtroppo, quale unica reazione ad eccessi e intemperanze, la sanzione disciplinare ed il voto in condotta.
b) Si registra, inoltre, un diffuso errato concetto di “protezione”, avvertibile in molti contesti (scolastici, sportivi, stradali ecc.), da parte dei genitori, propensi a “giustificare” e, per l’appunto, “iperproteggere” i figli (soprattutto in coppie separate, ma non solo), invece di educarli, rendendoli cioè edotti dei propri errori e dell’esistenza di regole da rispettare, la cui violazione si traduce in responsabilità oggettive. Un tempo, ad una nota o una sospensione di uno studente per condotte inadeguate, seguiva il “raddoppio della pena” in contesti familiari (sanzioni domestiche pecuniarie o privative e qualche educativo “paliatone”) segno di una reale “alleanza scuola-famiglia” fondata su condivisione di valori da far rispettare.
Oggi si potrebbe dire che al “paliatone” (socialmente improponibile in epoca connotata dal “politicamente corretto”) si è sostituita la “citazione” in giudizio dell’istituzione scolastica, “rea” di atteggiamenti asseritamente “persecutori” nei confronti del pupillo di famiglia, del “genio incompreso” (in realtà sovente asino o svogliato). Chi metabolizza, sin dalle scuole primarie, che “tutto può essere messo in discussione” e che “io ho ragione e l’autorità ha sempre torto”, acquisisce un approccio alla vita fondato sull’individualismo, sul personalismo, sul non rispetto di regole e del prossimo, che replicherà nel corso degli anni da studente universitario, da dipendente o libero professionista, da contribuente, da condomino, in sintesi, da cittadino riluttante ad osservare regole basiche di convivenza e di rispetto delle Istituzioni, delle regole e del prossimo.
c) Va notata, contestualmente, una perdita di “carisma” del corpo docente, che non sempre riesce ad ottenere il proprio rispetto dagli studenti con la propria “autorevolezza” (che si acquisisce “sul campo”: per le proprie percepibili elevate doti didattiche, culturali ed educative, già richieste e acclarate, si auspica vivamente, in occasione di concorsi seri e meritocratici successivi a lauree conseguite con studio reale e profondo), sopperendo a tale carenza ontologica di carisma, che opera sul piano preventivo e dissuasivo, con l’aiuto della “autorità”. Ovvero con la bruta pretesa all’osservanza, pur doverosa, di regole formali e sostanziali (il rispetto di orari, il silenzio durante una spiegazione, il non uso di cellulari in aula, lo studio serio e metodico, il fraseggio consono, il rispetto di compagni ecc.) con sanzioni disciplinari che intervengano solo sul piano repressivo e non rieducativo.
d) Infine, è innegabile un crescente disvalore sociale, in una società ispirata dal guadagno facile, dalla prepotenza e dalla incompetenza in quasi tutti i campi, nei confronti dei valori della “cultura” e dell’”impegno” serio nello studio e verso chi se ne fa disperatamente custode: ovvero la scuola.
È dunque innegabile un’attenuazione, nel sentire comune, del ruolo (formativo e culturale) dell’insegnante, figura basilare, accanto alla famiglia, nella crescita dei giovani, oggi abbandonata, se non umiliata, dal legislatore e dalla contrattazione collettiva sotto il profilo economico e motivazionale. Questo conduce ad una crisi “vocazionale” in molti potenziali ottimi insegnanti, ad un approccio impiegatizio all’insegnamento, a una tolleranza rassegnata verso l’ignoranza diffusa dei discenti, promossi comunque, nonostante mediocri rese scolastiche e condotte violente o denigratorie verso compagni o docenti.
E in tale contesto spesso il momento punitivo della sanzione disciplinare viene visto (sovente anche da alcuni insegnanti più tolleranti) come una anacronistica ed evitanda espressione di autoritarismo, dimenticando invece la funzione basilare, preventiva, dissuasiva ed educativa della sanzione e della connessa regola del “chi sbaglia paga”, a tutela del rispetto del prossimo e della comunità scolastica, che dovrebbe essere metabolizzata e accettata sin dalla nascita, in primis da genitori stoltamente iperprotettivi.