Le minacce alla globalizzazione e le incertezze geopolitiche crescenti richiedono interlocutori istituzionali affidabili, non solo per affrontare le crescenti sfide economiche globali, ma anche per mantenere alta la bandiera delle democrazie e delle società aperte. In questo quadro, c’è assoluto bisogno di un salto di qualità nelle istituzioni europee. Il commento di Pasquale Lucio Scandizzo
Il discorso che Mario Draghi ha tenuto all’Economic policy conference di Washington durante il conferimento del premio Paul A. Volcker Lifetime Achievement Award va molto al di là di un discorso di circostanza. Esso propone una analisi penetrante dello scenario economico globale e una prospettiva generale delle sfide inedite che la politica economica dovrà affrontare nel prossimo futuro. Allo stesso tempo, il discorso segnala in modo chiaro e univoco la direzione necessaria all’Unione europea per superare la sua crisi attuale. Questa crisi nasce da due ragioni fondamentali: una esterna e una interna.
La ragione esterna consiste nella involuzione progressiva dello scenario geopolitico e negli imprevedibili sviluppi del processo di globalizzazione. Quella interna è soprattutto determinata dall’impasse di un processo di integrazione politico-economico sobbalzante e incerto, che non è ancora riuscito a creare un soggetto istituzionale autonomo, con una autentica identità e coscienza sovranazionale.
Veniamo prima al problema della globalizzazione. Come è successo molte altre volte nella storia, la progressiva internazionalizzazione degli scambi economici e dei modelli culturali ha suscitato grandi speranze e grandi disillusioni.
Le ragioni principali risiedono nel fatto che i cambiamenti strutturali presentano sempre una gamma di benefici e di costi inegualmente distribuiti. I costi tendono ad essere molto più evidenti dei benefici e il loro peso è spesso concentrato su una parte della popolazione diversa da quella che riceve i benefici. Nella globalizzazione attuale questa differenza è amplificata dalla pervasività dell’economia digitale e delle iper-connessioni che ne derivano. La progressiva interdipendenza tra le attività quotidiane degli individui e delle imprese genera allo stesso tempo grandi concentrazioni di potere di mercato e dinamiche apparentemente ingovernabili, con continui e sorprendenti sviluppi della tecnologia e dei rapporti di lavoro.
Con la globalizzazione degli scambi, in assenza di attività di governo sovranazionali sufficientemente estesi ed efficaci, sono anche esplosi gli squilibri globali. Questi in parte derivano dalla mancanza di un quadro di regole certe, ma anche del fatto che in assenza di meccanismi di coordinamento, i singoli paesi tendono a perseguire obiettivi, quali l’accumulazione di surplus commerciali, che si rivelano mutualmente incompatibili. Questi sviluppi suscitano incertezze e reazioni di vario genere, che vanno dalla resistenza al cambiamento ai tentativi di trovare forme di organizzazione sociale ed economica più adeguate per governare il cambiamento.
In questi tentativi, le democrazie, basate come sono su sistemi di formazione di decisione complessi, da parte di una pluralità di soggetti, appaiono meno efficienti dei regimi autoritari. Nella ricerca del consenso, che le caratterizza come sistema politico, esse inoltre sono più sensibili alle ineguaglianze create dalla globalizzazione e quindi, più vulnerabili alle sfide del loro sistema di governo, rispetto ai regimi autocratici. Accanto a spettacolari risultati di progresso economico e tecnologico, la globalizzazione ha così comportato una serie di fenomeni negativi che, almeno in parte, si spingono fino a negarne la ragion d’essere.
Questi includono tendenze alla contrapposizione politica dettate da una maggiore coscienza delle diseguaglianze tra paesi, come inaccettabili forme di ingiustizia distributiva globale. Al tempo stesso, questi fenomeni comprendono le reazioni, all’interno dei paesi più fortunati, di coloro che si ritengono vittime di ulteriori ineguaglianze legate alla internazionalizzazione degli scambi e al progresso tecnico. La conseguenza di tutto ciò è una crescente polarizzazione sociale tra paesi e all’interno dei paesi, con un inasprimento delle tensioni politico-istituzionali esterne ed interne. Per il momento, tuttavia, ciò non sembra tradursi in un rallentamento della globalizzazione, ma piuttosto in una divergenza tra l’aspetto economico di una integrazione sempre più stretta delle catene del valore globali, e l’aspetto politico che ne minaccia progressi e risultati attraverso azioni protezionistiche ed essenzialmente autoritarie.
Per l’Europa, e qui veniamo al problema interno, la evoluzione istituzionale dell’Ue è avvenuta a un passo molto meno rapido della globalizzazione, anche se ne ha assorbito alcune delle caratteristiche salienti. L’integrazione economica ha infatti proceduto con un momentum autonomo, fin dalle sue origini, che precedono in larga misura la fase più dinamica della integrazione economica globale. A fronte di catene del valore europee sempre più integrate, tuttavia, l’integrazione istituzionale ha segnato il passo, soprattutto per l’esistenza di un conflitto storico tra gli interessi percepiti dalle comunità nazionali, progressivamente esacerbati dalla diffusione del populismo, e gli interessi comuni.
Questo ha portato a disegnare un sistema di “quasi-governo europeo” fondato su una inedita combinazione di poteri regolamentari e di poteri di governo, con un organo esecutivo di vertice, quale la Commissione, continuamente sospinto a svolgere un ruolo di autorità di regolazione imparziale, e a somministrare avvertimenti e sanzioni piuttosto che a disegnare e perseguire politiche economiche costruttive. Il dualismo tra autorità e potere è stato amplificato dall’assenza di una politica di bilancio a livello europeo a fronte di un potere unificato e indipendente di politica monetaria della Banca Centrale Europea.
Ritornando al discorso di Draghi, le minacce alla globalizzazione e le incertezze geopolitiche crescenti richiedono interlocutori istituzionali affidabili, non solo per affrontare le crescenti sfide economiche globali, ma anche per mantenere alta la bandiera delle democrazie e delle società aperte. In questo quadro, c’è assoluto bisogno di un salto di qualità nelle istituzioni europee. L’Unione Europea non può rimanere in bilico tra un sistema di debole coordinamento multinazionale e una forma tendenziale ed equivoca di governo sovranazionale. Le sfide della globalizzazione e della sua possibile crisi richiedono dimensione, autorevolezza e capacità di azione adeguata.